Regia di Shannon Murphy vedi scheda film
Per potersi togliere dall’imbarazzo di voler dare fare di questo “Babyteeth” una descrizione riassuntiva (cosa non facile), ci si può affidare alle parole della stessa Shannon Murphy, sua regista, che lo introduce come “dramma familiare da dipendenze”. Ma la stessa Murphy non può sottrarsi dall’aggiungere che questa sua (bella) creatura è molte cose insieme: è anche una storia d’amore, una storia di sofferenza, è anche (spesso e volentieri) una storia buffa e leggera al limite del comico (l’intrusione notturna di Moses in casa Finley ed annessa minaccia alla signora col forchettone da arrosto, per esempio; o il siparietto sul nome “Henry”, condiviso dal padre di Milla e dal cane di Toby, la vicina di casa, convinta, lei che si chiama Toby, che Henry sia un nome per cani). E sono (quasi) comici, quantomeno leggeri ed insieme tragici un po’ tutti i personaggi del film, insieme alle situazioni che portano in scena.
E’ un film, a mio avviso, anche sulla crescita, sull’evoluzione, dove la morte riesce necessaria ed indolore come il dentino da latte che da titolo al film, e che cade soltanto quando è il momento opportuno. Un film “a capitoli”, un riuscito collage di momenti che si intersecano con profondità e leggerezza; meravigliosi, ad esempio, i sessanta secondi di assoluto silenzio del capitolo “Ciò che la Morte disse a Milla”, una fotografia in movimento riuscita benissimo grazie non solo alla splendida luce, ma anche al viso falsamente banale della bravissima Eliza Scanlen (a mio parere, la migliore di un ottimo cast), che si incastrano tra due momenti lievi (Milla e Moses, perennemente strafatto sino al vomito, che si sfidano a “Forza Quattro”, e la festa di compleanno di Milla).
Dando un finale “biforcuto”, come volesse continuare a lasciare spazio alla libertà personale di scegliersi il proprio destino anche se il proprio destino sembra segnato, Shannon Murphy completa il suo pregevole lavoro con una colonna sonora anch’essa variegata e complessa, multitasking ed estremamente bilanciata (seppure in quell’equilibrio che la sceneggiatura si rifiuta di delimitare), fino allo splendido sciabordio delle onde che accompagna, suono meraviglioso senza nessuna nota, tutti i titoli di coda.
Molti riconoscimenti festivalieri. Freddino invece il riscontro di pubblico, forse perché le tante sfaccettature che assume possono impedire di inquadrarlo a dovere, almeno a prima vista. Contribuisco a riscaldarne il rating con quella mezza stellina in più che si può dare o non dare, ma che appunto preferisco dare, avendolo molto apprezzato.
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