Regia di Haifaa Al-Mansour vedi scheda film
Prima regista donna dell’Arabia Saudita con il film Wadjda, presentato al Festival di Venezia in Orizzonti nel 2012 con il titolo de La bicicletta Verde, Haifaa al Monsour ha poi diretto la pellicola occidentale Mary Shelley con protagonista Elle Fanning e, nel 2018, la commedia Dacci un taglio per Netflix prima di tornare nel proprio paese per dirigere The Perfect Candidate.
Come con la sua pellicola d’esordio é chiaro che l’intenzione della regista sia di raccontare la condizione delle donne nell’attuale Arabia Saudita, una situazione spesso ridicola e al limite dell’assurdo (almeno per noi occidentali) e dove la presunta modernizzazione é spesso di facciata scontrandosi con una tradizione arcaica e un islamismo ortodosso quando non addirittura radicale.
Un materiale potenzialmente incendiario agli occhi di un paese così conservatore, con una parte consistente dell’universo maschile che oppone una resistenza che ha come unico obiettivo di preservare saldamente nelle proprie mani il potere che conta.
Purché destinato anche a un pubblico internazionale, la regista é costretta a cercare quindi un precario equilibrio tra la massima fruibilità della sua opera e i paletti imposti dalla stessa produzione saudita che la porta inevitabilmente verso il compromesso, e invece di una rivendicazione drammatica e vibrante stempera tali tensioni optando per una commedia in una forma anche piuttosto convenzionale, solo apparentemente ingenua e leggera ma nascondendovi dentro una consapevolezza più progressista di quanto appaia in superficie, realizzando comunque un film di denuncia ma senza assumerne i toni del pamphlet.
Racconta invece di una dimensione familiare e del rapporto tra tre sorelle, diversissime tra loro e che vivono diversamente anche il rapporto con il padre, il ricordo della madre ora scomparsa o con la propria figura di donna in un paese profondamente maschilista.
Importante é la figura del padre, apparentemente passivo nei confronti di quanto accade in famiglia (o nel paese) e in realtà musicista di una forma espressiva tradizionale che, in nome dell’integralismo e della “purezza” della fede, si è cercato di cancellare e che lui cerca invece di salvaguardare anche a rischi della propria incolumità, anche lui come le proprie figlie quindi a lottare (e a supportarle nella lotta seppur in modo sempre pacato) perché la società si apra a una modernità che non sia soltanto di facciata, ben consapevole (anche nel ricordo della moglie defunta, ribella ella stessa a certe coercizioni del mondo mussulmano) del contributo fondamentale che il mondo femminile può offrire per guarire le “ferite” della società saudita (la protagonista non a caso fa il medico e la metafora é più che evidente).
Apprezzabile quindi nelle intenzioni ma il film di al Monsour mostra però una certa superficialità di comodo che, per quanto necessaria o comprensibile essendo finanziata direttamente dagli Emirati, non le permette di elevarsi troppo, per quanto elegante e/o originale, dal semplice intrattenimento.
E questo, date le potenzialità, é un vero peccato.
VOTO: 5,5
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta