Regia di Eric Rohmer vedi scheda film
A un certo punto (1.15’40”) Marie Rivière pronuncia una frase che suona più o meno come la sconfessione del 90% della filmografia rohmeriana: “Qui non c’entra il caso, è opera mia”. Ecco, la sconcertante bellezza di questo film sta nel gesto compiuto dal regista che, alle soglie degli ottant’anni, è appena arrivato a concludere il suo terzo ciclo di film: come il vecchio Prospero alla fine della Tempesta shakespeariana, libera gli spiriti e pone fine agli incantesimi. Il resto sono le consuete traversie sentimentali, ormai deliziosamente manierate, che conosciamo bene: ancora e sempre la ricerca dell’anima gemella, ma questa volta per interposta persona (la futura nuora e l’amica di una vedova di mezza età si mettono in testa indipendentemente di trovarle un uomo). E, come spesso succede in Rohmer, la storia più suggestiva è forse quella che non ha luogo ma di cui viene lasciata intravedere la possibilità: quando, in un lunghissimo controcampo a un tavolo di bar, Isabelle rivela a Gérald che l’annuncio sul giornale non riguarda lei, perché è felicemente sposata da 24 anni, in entrambi resta un (sottile, quasi inespresso) rammarico per ciò che Gozzano chiama “le cose che potevano essere e non sono state”. Ma, ripeto, ciò che rende unico il film è la rivelazione fatta dal regista: sono io il demiurgo, il burattinaio che ha sempre mosso le fila dei personaggi, anche se finora vi ho fatto credere il contrario. Lo considero idealmente il suggello della sua intera opera: i tre film successivi sono solo postille inessenziali.
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