Regia di Eric Rohmer vedi scheda film
Così come la viticultrice protagonista del Racconto d'autunno nega di sfruttare la terra, bensì spiega di curarla, altrettanto vorrebbe dire Rohmer del proprio rapporto con il cinema: non c'è un approccio classico meramente finalizzato alla rappresentazione, alla messa in scena; piuttosto il regista sceglie di utilizzare il mezzo per enunciare le proprie teorie sulle relazioni sentimentali, forse cercando in questo modo di realizzare potenzialità inespresse della settima arte. Ma tutto questo è pura astrazione teorica. Ciò che invece è dato di fatto concreto ed innegabile è che Rohmer si rivolge al cinema con un brutale minimalismo che può causare, a seconda del momento e della disposizione d'animo dello spettatore, noia, perplessità o addirittura repulsione. Non che i contenuti manchino: semplicemente la storia vacilla, come sempre accade nelle opere del quasi ottantenne regista francese, perdendo di significato man mano che i dialoghi verbosi e non sempre ficcanti si dipanano, oscurando tutto il resto. La musica, elemento indispensabile per conferire un ritmo al film, è un alieno per Rohmer; i personaggi vivono di una semplicità interiore - da non confondere con una più elementare bontà - che non rende giustizia alla realtà; gli eventi che si susseguono sono banalmente quotidiani e 'normali'. Tutte scelte discutibili, coraggiose, affatto scontate, ma senz'altro discutibili. Si chiude con questo lavoro la tetralogia dei racconti delle quattro stagioni. 4,5/10.
Viticultrice vedova di mezza età viene presentata all'ex professore (nonchè spasimante non ricambiato) della ragazza di suo figlio e conosce un uomo tramite un annuncio su un giornale per singles, messo da un'amica a suo nome.
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