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The Domain

Regia di Tiago Guedes vedi scheda film

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La recensione su The Domain

di EightAndHalf
7 stelle

La lenta e inesorabile panoramica che apre A Herdade è già una dichiarazione di intenti: un albero che si erge maestoso su una campagna sconfinata, come quella dell'incipit di Luz silenciosa di Carlos Reygadas, e poi poche figure umane e un uomo impiccato. Già è chiaro quello che ci aspetta, un film di segni evidenti che sono in grado di scolpirsi pittoricamente nel nostro immaginario "aperto" alla visione del film. Il contesto viene subito a seguire: è l'infanzia di Joao, che subisce questo e probabilmente altri molitissimi traumi dal violento patriarca, traumi talmente violenti da spingerlo a isolarsi su un eremo in mezzo a un lago, raggiungibile con una zattera improvvisata legata alle due sponde con una fune.

Tutto il resto del film, maestosa saga familiare dall'incedere rigoroso attento e raffinatissimo, è scolpito su quelle cinque o sei inquadrature iniziali. E' un film di spazi immensi, di tempi slabbrati e allungati, di sguardi fissi e sconcertati, di rimossi storici e narrativi. La famiglia protagonista si isola completamente dalla Storia, rifuggendo alle leggi imposte dal governo centrale portoghese e rimandando indietro tutti i funzionari che cercano di estendere al Dominio del titolo la loro legiferazione. Il Dominio diventa così una bolla di pura wilderness, in cui la ciclicità delle cose non può che ribadirsi costantemente. Se tutta la prima parte del film è destinata a raccontare la rottura definitiva del Dominio con il mondo esterno, e i movimenti narrativi si disperdono tutti sottotraccia, nascosti sotto le immagini, la seconda parte di film porta all'inevitabile conseguenza incestuosa della Non-Storia, costretta a rigenerarsi a partire da se stessa fino ad autodistruggersi.

Si tratta di un dramma epico e taciturno, fatto di distanze e di attese; un film in cui il destino dei personaggi è già scritto, e noi non possiamo fare altro che percepirne il manifestarsi, nella subliminalità di un pianosequenza e nell'improvviso esplodere di una dissolvenza incrociata.

Si accetti pure la suggestione di vedere A Herdade come un volontario isolamento dall'identità del cinema portoghese: così come la famiglia protagonista, lontana dalle leggi del governo centrale, A Herdade è fuori dal cinema nazionale e dai suoi più grandi esponenti, e soddisfa le proprie ambizioni rifacendosi al western e al melodramma - nonché al cinema delle grandi saghe familiare, dal Padrino ad altri grandi esemplari italiani.

Oggi è raro trovarsi di fronte film che facciano del rigore e della coerenza un fatto di audacia e di eccesso. Il film infatti è stato accusato di noia, ridondanza e patina telenovelistica dalle recensioni dei giornalisti a Venezia 76. Eppure è un film monolitico, aspro come una roccia e duro come il marmo, e riesce ad essere estremo senza essere esibizionistico, riesce ad essere classico senza essere pudico.

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