Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Fratelli e immigrazione dal Sud al Nord Italia negli anni del secondo dopoguerra. Un argomento che, volenti o nolenti, riporta alla mente Rocco e i suoi fratelli. A differenza del capolavoro viscontiano, Amelio raggela le passioni, dagli amori per le donne agli affetti familiari. Questo non significa che l'amore fraterno non porti a commettere atti assurdi ed illegalità o che, al di fuori di ogni cliché sociologico, si manifesti attraverso comportamenti concludenti sobri e silenziosi anziché mediante sceneggiate lacrimevoli propagandate da un'inveterata tradizione spettacolare. Il trapianto al nord delle famiglie del sud, cementate in un contesto del tutto diverso, un affetto fraterno in parte malinteso e per certi aspetti perfino morboso e un'idea della cultura e del sapere come lasciapassare per il successo nella vita contribuiscono a far perdere ai personaggi del film il senso della legalità e forse anche ogni distinzione tra Bene e Male. Lo spaesamento di questi gruppi del sud trapiantati nella Torino industrializzata è ben rappresentato, in apertura del film, nella vicenda della giovane famiglia pugliese, composta da due bambini piccoli e da due giovani genitori pressoché analfabeti, che non riescono ad orientarsi ed a rintracciare i parenti già presenti nel capoluogo piemontese.
Amelio ha una bella mano ed è capace di una narrazione che porta lo spettatore già in mezzo alle cose, che comprendono anche gli antri fatiscenti occupati dagli immigrati meridionali. Se, comunque, in altri film il rischio di Amelio è quello di non riuscire a coinvolgere pienamente lo spettatore, qui si aggiunge la difficoltà di voler dire molto in poco tempo: si ha l'impressione di essere di fronte a una miniserie nata per lo sfruttamento televisivo in ampiezza, sfrondato e condensato per il passaggio e la misura cinematografici.
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