Regia di Yonfan vedi scheda film
Operazione molto scomoda inquadrare il primo film d’animazione di Yonfan, in concorso a Venezia 76. Un film che slarga fra romanticismo e trash, fra dramma storico e soft-core zoofilo. Una sorta di sogno-incubo al ralenti in cui la storia del protagonista e del triangolo amoroso che lo coinvolge con una modella sua coetanea e la madre di lei si rivela essere sineddoche della Storia di Hong Kong, fra sviluppo culturale e apertura verso l’occidente. Volendo si può leggere No. 7 Cherry Lane come l’ennesima espressione estrema di uno o più sentimenti umani – si dice ennesima perché questo è prerogativa della maggior parte del cinema hongkongese, che sia rivolto al sentimentale (Wong Kar-wai) o che sia rivolto verso l’action (Johnnie To). Dunque Yonfan è inseribile con facilità all’interno delle conseguenze più o meno deliranti di questo meccanismo. Forse anzi è anche parecchio interessante capire come l’eccesso di un Cinema già di suo improntato all’eccesso possa portare a una messa in dubbio talmente estrema del buon gusto e del senso ultimo di situazioni ed eventi rappresentati in un film. Questo perché fra primi piani intensi e avvolgenti e gatti che miagolano eccitati e volano da una finestra all’altra il passo nel film è brevissimo. Così come è un niente quello che separa il – prolisso – proseguire degli eventi coinvolgenti i tre protagonisti e lo sperimentare con l’animazione – come nel momento (forse onirico?) in cui il disegno si azzera e vengono sparati a raffiche subliminali una serie di bozzetti a matita di tutti i personaggi. Con lo sprezzo della logica emozionale e in generale del meccanismo partecipativo dello spettatore, Yonfan trasforma quasi con morbosità un dialogo tenero in un’orgia di colori e di ammiccamenti. Solo nelle parentesi dei film in bianco e nero, che due dei tre protagonisti vanno a vedere al cinema, si ottiene quella sospensione del tempo e dello spazio che Yonfan sembrerebbe dire dovrebbe generare il Cinema: le immagini diventano icone di un’immaginario nel suo farsi, in particolare quello dei due protagonisti estremorientali rispetto alla cultura occidentale importata. Ma forse è inutile sforzarsi nelle dietrologie, se poi nel film hanno chiamato Fruit Chan solo per doppiare un gatto che dice “Miao” un paio di volte.
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