Regia di Noah Baumbach vedi scheda film
Venezia 76 – Concorso ufficiale.
Fin quando nel rapporto sentimentale tra due persone tutto fila liscio e l’affiatamento è situato al massimo livello, non esistono barriere invalicabili e le rinunce quotidiane vengono superate senza vederle trasformate in un fardello insostenibile. Una situazione che può cambiare verso rapidamente, per colpa di inavvertite disattenzioni, delle mancanze non chiaramente percepite da chi le provoca. A questo punto, una semplice spintarella è più che sufficiente per finire imbrigliati in una spirale a senso unico, rimuovere i tempi sereni e avere negli occhi solo gli aspetti negativi, soprattutto se c’è chi per professione è stimato per non fa altro che farli gravare.
Dopo anni felici, Charlie (Adam Driver) e Nicole (Scarlett Johansson) si ritrovano improvvisamente intrappolati sull’impervia strada del divorzio.
Mentre lei vola a Los Angeles per riprendere il lavoro da attrice televisiva, lui continua l’attività teatrale a New York, una distanza che rende incandescente lo scontro quando il centro della disputa ricade sull’affidamento del loro unico figlio.
L’intervento degli agguerriti avvocati Nora Fanshaw (Laura Dern) e Jay (Ray Liotta), quest’ultimo in sostituzione del mite Bert (Alan Alda), non farà altro che riscaldare ulteriormente gli animi.
Nella sua seconda collaborazione consecutiva con Netflix (la prima è stata The Meyerowitz stories), Noah Baumbach allestisce un dramedy articolato su una coppia che scoppia, scodellando il suo personale vissuto, ricavato dal divorzio da Jennifer Jason Leigh.
Giusto il tempo di assistere a un’introduzione incastonata su un reciproco ritratto tutto rosa e fiori, dolce e appassionato, e la traiettoria vira verso la tempesta, con i due protagonisti bloccati su una terra di mezzo, distanti anni luce da un eventuale nuovo equilibrio.
Se la dinamica è drammatica, a prevalere è il tono da commedia, con una serie scintillante di botta & risposta, in una lotta all’ultimo sangue che parte da un casus belli, il divorzio, per approdare a un primum movens, ovvero l’affidamento del figlio.
La marcia imposta da Noah Baumbach è serrata e disinvolta, rinvigorita all’ennesima potenza dall’intervento di uno spettacolare trio di avvocati. Una gara di bravura, con l’elegante rapacità incarnata da Laura Dern e Ray Liotta, contrastata dalla commovente e brillante performance di Alan Alda.
Proprio queste tre figure permettono di scodellare litigate sempre più furiose, ma non manca nemmeno l’effetto pelle d’oca, grazie a una prestazione canora dell’ottimo Adam Driver (Frances Ha, Giovani si diventa), una scena cult, non l’unica del film (vedi, ad esempio, la ferita procuratasi per errore da Charlie, con dirompenti effetti comici).
In pratica, Storia di un matrimonio – dal 6 dicembre 2019 su Netflix - è un racconto box to box, con dialoghi fitti, dove tante parole si trasformano in boomerang, e un’andatura pimpante, che porta a galla i peggiori istinti (egoismi, cattiverie gratuite, prevaricazioni inutili, consigli meschini), un vortice legale a cui non si scampa, le distanze tra Los Angeles e New York, tra la televisione e il teatro. In più, mette in evidenza la difficoltà di instaurare un dialogo quando non ci si capisce semplicemente perché non ci si parla, almeno non sul serio, e la necessità di mantenere, sempre e comunque, un fazzoletto di terra per se stessi, evitando così dei pentimenti quando ormai è troppo tardi per recuperare.
Preparate i fazzoletti per asciugare le lacrime, tra risate incontenibili, una fiammella che in fondo non si esaurisce mai e un alone di tristezza per quanto è stato e non è più, ma avrebbe ancora potuto essere con un pizzico di maggiore attenzione (in fondo, ognuno in questa storia ritrova qualche pezzo dei suoi trascorsi).
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