Regia di Franco Maresco vedi scheda film
Franco Maresco torna sullo stile di Belluscone per raccontare un’altra storia siciliana. Che un’altra in realtà proprio non è, è sempre la stessa, non perché avvengano sempre le stesse cose ma perché le cose nuove attingono allo stesso universo. Un universo da cui Maresco estrapola un naturale grottesco, un grottesco diremmo quasi inevitabile, date le assurdità e le contraddizioni in cui versano la città di Palermo e i suoi quartieri meno fortunati. Torna la fotografa Letizia Battaglia, già protagonista in La mia Battaglia, e torna Ciccio Mira, già protagonista in Belluscone, entrambi avengers del Maresco Cinematic Universe, mitologie di natura diversa che camminano parallelamente (non si incontrano mai), pur appartenendo a uno stesso mondo.
Il grottesco di Maresco fa paura, perché è dotato di una lucidità cinica ammirevole e angosciante allo stesso tempo. Il suo modo di raccontare, con una cantilenante voce fuori campo – accento siciliano marcato, sarcasmo perenne – è il legante dei cocci di una Palermo labirintica, frammentaria e quasi apocalittica, in cui tutti i volti e i personaggi tornano a presentarsi nei loro ruoli e nelle loro caratteristiche. Infatti alla Battaglia e a Mira si aggiungono altri personaggi – vignette istantanee nelle mani del montaggio mareschiano – come il cantante Miscel o il braccio destro di Mira, Mannino. E dietro di loro, tutti gli altri personaggini che ricaricano le fila di un carnevale incastrato fra il cattivo gusto e il naif più incredibile. Maresco non è escluso dai personaggi, ed è anzi in grado di mettersi sempre in discussione, grazie agli adorabili interventi della fotografa Battaglia.
Il mondo dei personaggi di Maresco è un mondo pronto a negare l’evidenza nel nome dell’omertà, pronto ad ammutolirsi di fronte al chiarissimo e al lampante. La mafia non è più quella di una volta e in realtà è sempre la stessa, non sta più nei fatti ma nelle mentalità, nelle volgarità di un Giorno della Memoria (23 maggio di ogni anno) diventato sagra di paese, e nelle assurdità di una coscienza civica perduta, scavalcata dall’abitudinaria sottomissione alla legge del più forte.
Ma il motivo per cui l’ultimo lavoro di Franco Maresco presentato a Venezia 76 è un capolavoro è che la costruzione post-produttiva gode di una raffinatezza e allo stesso tempo di una scioltezza che in Belluscone era forse leggermente sacrificata a favore della comunicazione del messaggio, dell’esternazione dello scopo ultimo del progetto. Invece La mafia non è più quella di una volta è un film secco e spontaneo, felicemente gratuito (forse proprio per questo, ancora più bruciante nel suo richiamo alla coscienza civile) lanciato amatorialmente sulle strade di Palermo, fra panellari e prostitute, in grado con l’editing di far appassionare con naturalezza lo spettatore tramite la sistematica parodia dei più classici meccanismi drammaturgici (scene clou, primi piani, dialoghi). In tal senso esemplari le musiche ed esemplari i cameramen in grado di cogliere i dettagli più apparentemente insignificanti di un mondo complesso come per esempio quello del quartiere Zen2.
Maresco riesce ad andare adesso oltre l’aneddoto, oltre la cronaca: ormai sembra più un cantastorie, un menestrello di fiabe impossibili.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta