Regia di Franco Maresco vedi scheda film
Venezia 76. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
La mafia non è più quella di una volta. Franco Maresco ci rammenta un concetto ormai lapalissiano. Le strategie di Cosa Nostra sono cambiate. Le lotte sanguinarie, le faide tra clan rivali, gli omicidi perpetrati nei confronti dei dissidenti (politici, forze dell'ordine, giornalisti) hanno vissuto il canto del cigno con le stragi di Capaci e Via D'Amelio. Il clamore di quei massacri e la caduta dei vertici hanno contribuito ad una massiccia revisione delle strategie criminali. La nuova struttura è probabilmente piú accorta, più scolarizzata e sì è adeguata alle innovazioni tecnologiche. Criptovalute, movimentazioni di capitale offshore, asservimento dei social media al fine di manipolare gli esiti del voto e le coscienze. Questi gli strumenti nuovi che si uniscono a business in ascesa come lo smaltimento illegale dei rifiuti. I vertici mantengono un profilo basso rispetto ad un tempo, ma, a 25 anni dalle stragi che costarono la vita ai giudici Falcone e Borsellino, Cosa Nostra rimane sempre un'organizzazione criminale senza scrupoli e ben radicata. Dietro la capacità della Mafia di ripensare se stessa e di adattarsi ai tempi (unica strategia vincente nel lungo periodo di ogni organismo) ci sono tattiche più sottili e guardinghe. Le stragi liberarono la cupola dei propri avversari politici ma, lì per lì, crearono un clima di sdegno che catalizzò l'attenzione sugli stessi clan mafiosi minandone i vertici. Dopo un lungo periodo di revisioni interne, e a seguito dello stallo nelle gerarchie di comando, con l'intoccabile Riina dietro le sbarre, il regista Franco Maresco approfitta del 25° anniversario della morte dei due magistrati per fare un punto sulla questione Mafia in Sicilia. E si chiede per prima cosa come venga percepita la commemorazione di quegli eventi dai palermitani. Cosa c'è dietro ai modi scontrosi e all'ostenta indifferenza degli "intervistati"? C'è la semplice riottosità nell'affrontare una colpa? Il desiderio di sfuggire al marchio indelebile del "mafioso" e alla comunanza con un singolo, benché deplorevole, aspetto della società palermitana? L'insopportabile mestizia nel dover affrontare il senso di responsabilità per quanto successo? Oppure abbiamo visto un facile ritorno di omertà dovuto all'acquietarsi del rumore delle bombe? Se nelle vie, nelle piazze e nei mercati Maresco filma queste imbarazzanti ambiguità, crea ancor più imbarazzo la reazione di Letizia Battaglia, la celebre reporter siciliana che fotografò i delitti di mafia rendendoli pubblici a tutto il mondo. Come si può sostituire lo sdegno, il senso di responsabilità civile, il dolore per la perdita di chi si impegnò per restituire legalità al paese con un baccanale di canti e balletti? Si è perso il senso della memoria. Difficile darle torto quando lascia inviperita la "festa". Lasciata la manifestazione di piazza inizia l'analisi vera e propria di Maresco intorno alla commemorazione. Il regista e la fedele amica si spostano in periferia dove è ormai pronta una nuova manifestazione dedicata ai due magistrati. Risolleverà il morale di Maresco e Battaglia? Lo ZEN non è certo un luogo di vacanza e Maresco si chiede a cosa serva una commemorazione in quel posto. Nell'analisi del dietro le quinte e dei preparativi ce lo chiediamo anche noi. Ma la domanda che ronza sempre più fastidiosa è questa: la Mafia ha messo le mani sugli spettacoli di piazza? Regala belle serate che ricordano i martiri della Sicilia al popolino e ne controlla lo svolgimento affinché non vengano recitati slogan inappropriati come un "abbasso la mafia"? Le nuove strategie di cui si parlava in precedenza comprendono anche questo? Il pensiero del regista, a riguardo, non presenta dubbi di sorta vista la reputazione degli organizzatori/finanziatori della serata: l'abile Ciccio Mira che tiene il piede in più staffe ed il suo squilibrato sodale, tal Matteo Mannino. Maresco è sferzante nella rappresentazione dello ZEN quanto è furbo e ambiguo Mira. Il quadro è avvilente. Un ritratto della periferia per niente edificante fatto di dubbi faccendieri, banderuole, puttanieri, povertà, diseguaglianza economica, disagio sociale e tanta, ma tanta, ignoranza. Maresco corre ogni tanto il rischio di essere snob e fazioso nella rappresentazione del palermitano medio. Sono sicuro che l'importanza del ruolo assunto da Falcone e Borsellino è ben noto man mano che il livello di scolarizzazione aumenta nei cittadini di Palermo, ma è anche vero che la situazione da lui descritta merita una presa di posizione che ammette un po' di speranza ma non ammette eccezioni. Si entra in sala ignari, si ride nel buio della sala e si esce tra senso di colpa e indignazione. Letizia Battaglia è un monumento vivente. Quando gliene dedicheranno uno (spero il più tardi possibile) speriamo non abbia gli stessi lineamenti della statua toccata al povero don Puglisi.
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