Regia di Mattie Do vedi scheda film
Venezia 76 – Giornate degli autori.
A tutti è capitato di combinare un guaio e rimpiangere amaramente il momento in cui è accaduto il misfatto. Chiudere gli occhi e desiderare con tutte le proprie forze di poter tornare indietro, per comportarsi in un altro modo e modificare la rotta del destino.
Chiaramente ciò non è possibile, per cui, nei casi più gravi, siamo destinati a portarci appresso un insostenibile fardello per il resto della nostra vita.
Chissà, magari tra cinquant’anni sarà inventato un sistema per correggere retroattivamente gli errori perduti nel tempo. Qualora capitasse, sarebbe accolto con somma gioia e un sollievo immediato, come se fosse la soluzione ideale a tutti i mali. Ma potrebbe anche rivelarsi una lama a doppio taglio.
Un uomo solitario (Yannawoutthi Chanthalungsy), in grado di vedere i fantasmi e comunicare con loro, entra in contatto con la vittima di un incidente stradale, una giovane donna che lo guida nel passato per scovare la verità sull’accaduto.
Andando indietro nel tempo di cinquant’anni, l’uomo rivivrà la tragica fine di sua madre, incontrando il se stesso bambino.
Dopo essere stata scovata tre anni fa dal Far East Film Festival, dove presentò Dearest sister, la laotiana Mattie Do alza l’asticella delle ambizioni, superando – di slancio – i confini dell’horror, con un film carico di suggestioni e dalla composizione complessa (anche troppo e non sempre utilmente).
Da una traccia tipica delle ghost story, The long walk sviluppa un’architettura con dinamiche spazio-temporali intrecciate, per dirimere diatribe strettamente legate alla famiglia e al senso di colpa.
I rimpalli tra presente, che poi sarebbe ambientato nel futuro, e il passato, sono incessanti, con tasselli da mettere insieme in una ricostruzione elaborata al punto da essere faticosa da assimilare. Al suo interno ci sono dramma vissuti, e ancora da vivere ma in fase di definizione, il sogno di aggiustare un passo sbagliato, le conseguenze di un’azione e, più o meno tra le righe, considerazioni sulla condizione femminile e sulla società.
Come se non bastasse, Mattie Do ricorre a svariati canali comunicativi. Essenzialmente, si parla di un dramma dell’anima, ma alcuni idiomi piombano dal cinema horror, s’intravede un filo di suspense del thriller, mentre l’ambientazione futuristica dà una spolverata di sci-fi, contrassegnata da una manciata di elementi fuori fase (o in fase con il modello occidentale, non certo quello del Laos).
Con così tanto materiale in ballo, gli automatismi cigolano, ma la regista ha il merito di riuscire a raggirare i tranelli, di non scivolare mai nel cliché vetusto, tutt’al più ci si avvicina per poi orientarsi altrove.
Per queste ragioni, The long walk è un film stuzzicante ma anche sfasato, con una fotografia nitida e molteplici argomentazioni da mettere in evidenza, ma impastate in un intruglio aggrovigliato oltre il lecito.
Stimolante e dispersivo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta