Regia di Claude Chabrol vedi scheda film
Attivo da una decina di anni e con già una quindicina di titoli girati, Chabrol scrive e dirige questo drammone-giallo-psicologico-borghese probabilmente in tutta coscienza di lavorare sui temi che costituiranno i capisaldi della sua futura filmografia - comunque già accennati anche in alcuni precedenti lavori: la borghesia gelida e ipocrita, il tradimento come risoluzione (positiva o negativa che sia) della crisi di coppia, la banalità della violenza nei nostri giorni, per accennare solamente i principali. Al centro del film c'è la moglie e musa del regista, Stephane Audran, il cui personaggio nell'originale francese aveva per nome Helene (incomprensibile la scelta dei traduttori italiani di creare un siffatto, tendenzioso equivoco: Stephane è la moglie del regista nella realtà!); brava come sono bravi i due co-protagonisti maschili Michel Bouquet e Maurice Ronet nel disegnare nel complesso un triangolo che di morboso ha solo ciò che non viene detto (così come la violenza e la morte vengono messe in scena per sottrazione), mentre l'apparenza delle cose - che è tutto per il quadro rappresentato - permane assolutamente impeccabile. Due gli elementi indiscutibilmente positivi della pellicola: l'utilizzo sapiente delle musiche (colonna sonora firmata da Pierre Jansen, già da alcuni anni collaboratore di Chabrol e quindi in ottima sintonia con lui) e l'inquietante finale, degna conclusione di un dramma sostanzialmente irrisolvibile, come tutti i triangoli che si rispettino. Fotografia apprezzabile a cura di un altro ormai stabile sodale del regista, cioè Jean Rabier. 6/10.
Coppia borghese: lei tradisce lui con un altro; lui percepisce la situazione, va a scovarlo e lo uccide a sangue freddo, sbarazzandosi poi del cadavere. Ma la polizia è sulle sue tracce.
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