Regia di Claude Chabrol vedi scheda film
Stèphane (Stèpan Audran) è sposata con Charles (Michel Bouquet) e insieme al figlio undicenne Michel vivono in una lussuosa villa di campagna poco fuori Parigi. Stèphane (Hèlène nella versione originale) ha un amante, Victor (Maurice Ronet), un giornalista con aspirazioni da scrittore. Charles inizia a sospettare qualcosa e quando ha la certezza dell'adulterio della moglie grazie alle prove fornitegli da un investigatore privato appositamente ingaggiato, va a visitare Victor nel suo appartamento, il luogo dove almeno due o tre volte a settimana si incontra con la moglie.
"La Femme infidèle" è a suo modo uno dei film più paradigmatici dell'intera filmografia di Claude Chabrol, che si sa, ama muoversi nelle torbide acque degli ambienti alto borghesi per arrivare ad aprire il sipario sulle sensazioni malsane che vi si annidano. Credo che l'espediente che più di ogni altro caratterizza il suo modo di fare cinema è questa calma apparente che sorregge gran parte dei suoi film, il fatto che i suoi personaggi si muovono con una naturalezza disarmante, come se tutto quello che dicono o fanno corrispondesse esattamente a quello che andava detto o fatto, necessariamente ed imprescindibilmente. Non c'è effetto che possa far dubitare sull'inevitabilità della causa che l'ha prodotto e c'è sempre una maschera pronta a celare sensazioni tratidrici. In questo film si ha subito la sensazione che le cose non sono propriamente come ci appaiono, che qualcosa di strano cova sotto l'apparente giovialità familiare e la grandezza di Chabrol, qui come altrove, sta nell'insinuare il sospetto tra le pieghe di accadimenti banali, di generare uno stato di tensione latente facendo esclusivo ricorso a sfumature caratteriali o scarti emotivi. Ci mette di fronte alla necessità che qualcosa dovrà accadere, ma non si sa mai di preciso come, quando e perchè. Per circa metà del film lo spettatore è portato a nutrire gli stessi dubbi di Charles circa la fedeltà della moglie, dopodichè fa la conoscenza di Victor nell'unica occasione in cui lo ritroviamo insieme a Stèphane in quella che è una sequenza profondamente emblematica. La donna prende dal cassetto di un comodino la foto di un bambino e solo allora viene a sapere che Victor è divorziato ed ha due figli, un maschio e una femmina. Si frequentano da più di un mese e le domande di Stèphane dimostrano tutta la meccanicità del suo adulterio, il fatto che non è una ragione sentimentale a spingerla tra le braccia di un altro uomo e a mettere in crisi la sacralità del vincolo matrimonale, ma il bisogno di sfuggire all'opprimente routine quotidiana, l'urgenza di concedersi un diversivo che, se da un lato gli fornisce il piacere effimero di svincolarsi anche solo per brevi momenti dai formalismi morali imposti dal mondo a cui appartiene, dall'altro lato la mantiene a debita distanza dalla possibilità di metterne in pericolo tutti i privilegi connessi. Charles, una volta appurata l'infedeltà della moglie, nella sostanza si comporta allo stesso modo. Non la mette di fronte al fatto compiuto mostrandogli l'irrimediabilità del suo orgoglio ferito ma continua a comportarsi con la stessa calma di sempre, come se nulla fosse successo. Si limita a rimuovere gli agenti disturbatori e a controllare che le cose ritornino al posto in cui devono stare (come il puzzle che sta costruendo il piccolo Michel), perchè la cosa che più conta è salvaguardare l'integrità familiare e la lucentezza della sua posizione sociale. Marito e moglie scoprono le vicendevoli colpe, ma l'uno non tradisce l'altro perchè entrambi conoscono l'importanza dello spirito di corpo ed entrambi sanno che condannare l'altro significa condannare prima se stessi. Così si autoassolvono a vicenda per perpetuare la farsa della morigerata famiglia borghese all'insegna di una complicità che osa scavalcare le leggi dell'uomo. Come ci suggerisce la magnifica sequenza finale di quest'altro grande film di Claude Chabrol.
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