Regia di Paco Cabezas vedi scheda film
Un vecchio adagio parruccone dice che gli attori belli e piacenti non siano mai credibili e che soprattutto siano sempre pessimi attori. Il “chico poster” Mario Casas, che durante il 2018 si è definito depornosexual, secondo la nuova definizione di Simpson (spornsexual, in originale), è in realtà un ottimo attore. Certo, la presenza fisica aiuta, ma di lui colpisce soprattutto la voce con le sue celebri vocalizzazioni – ultimamente abbastanza abbandonate rispetto agli esordi – e la recitazione estremamente fisica. È il suo corpo che parla.
Se tralasciamo l’empatia drammatica con i personaggi che interpreta – pianti, sfoghi, espressioni di paura, gioia, sorpresa, etc. – che possono legittimamente non essere ritenute all’altezza di una buona recitazione – anche se il sottoscritto la vede diversamente – è indubbio che proprio grazie alla sua fisicità Mario Casas sa interpretare l’identità dei suoi personaggi. Dimostrando nuovamente quanto l’attore sia segno piuttosto che scavo interiore.
Paco Cabezas, grazie proprio a Casas, riesce a dare un’energia animalesca all’intera pellicola che già di suo aveva un valore aggiunto: la regia. Lo stesso Paco Cabeza, tra montaggi paralleli adrenalinici, fotografia e taglio delle inquadrature, messa in scena e ritmo, conferisce a Adiós un linguaggio cinematografico di indubbio valore narrativo ed estetico.
Clamorosamente snobbato dalle candidature ai Goya del 2020 nelle categorie più forti come film, regia e attore protagonista – uno dei ruoli migliori di Mario Casas che da galiciano si confronta con l’andaluzo puro del popolo gitano – è stato giustamente riconosciuto l’ottimo lavoro di Natalia de Molina e dell’eccellente Mona Martínez nel ruolo della spietata matriarca.
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