Regia di Brad Silberling vedi scheda film
Fare un remake di un film che considero un capolavoro lo trovo già azzardato. E soprattutto non si capisce perché farlo: probabilmente c'era qualcosa che il regista voleva esplicitare poiché Wenders, avendo montato un'opera poetica, ha lasciato la libertà di interpretazione al proprio pubblico. In questo film ho trovato due scene buone: la prima, quando Seth (un Cage che proprio non sopporto e trovo pessimo come attore) chiede alla donna di cui è perdutamente innamorato, Maggie, che sapore ha una pera. E' una banalità, forse è anche scontato che questa scena, un po' compiaciuta probabilmente nel testo, piaccia. Però c'è un pensiero bellissimo dietro questa domanda: quando Maggie gli dice "ma tu non l'hai mai mangiata che non sai che sapore ha", ovviamente la risposta sarebbe sì, ma Seth si giustifica dichiarando "non so che sapore ha per te". Ecco, questo pensiero mi è piaciuto perché davvero capita molto poco, almeno a me, di chiedermi qual è la percezione che ha l'altro della quotidianità spiccia. Per me una pera è un frutto dolce, succoso (le williams, le mie preferite), dissetante, anche terroso nella buccia, in un senso che richiama più un'infanzia all'aperto che nel significato etimologico del termine "terroso". Ecco, un frutto aprico. Ma ogni persona vive la sensazione del sapore di un frutto a modo proprio e vi collega ricordi discordanti e diversi. Mi viene in mente un amico che detesta i mandarini perché l'odore lo ricollega a situazioni di disagio personali, oppure al bel film "il sapore della ciliegia" dove quel sapore è un motivo in più per vivere, perché è proprio di chi la assaggia e di chi lo vive. Quindi questo passaggio del film mi è piaciuto.
Altro tema che mi è piaciuto è ovviamente quello del finale, dove alla domanda "sapendo che sarebbe andata così, avresti fatto la stessa scelta" la risposta riecheggia in modo molto semplice e con meno profondità un pensiero che mi è molto chiaro e che ho sentito recitare poeticamente, con tenerezza e trasporto, da Dario Fo con le parole della compianta Franca Rame: tra la vita eterna e la conoscenza, la coscienza, i dubbi e l'amore io scelgo l'amore, anche se poi finisce.(ho trovato qui il testo corretto: http://www.beppegrillo.it/2013/05/dario_per_franca.html)
Ecco, questo è il mistero della bellezza della vita e dell'essere uomini: l'effimero che nel momento in cui esiste è l'assoluto ed è il motivo da cogliere in ogni istante della gioia di vivere.
Purtroppo il resto del film è ridondante, ripete a colori ciò che Wenders ci ha già raccontato, anche con più arte e poesia. Capisco bene che gli si possa dare la sufficienza, perché alla fine il soggetto è già molto buono di per sè. Io la sufficienza non gliela do, perché affrontare un film riuscito per farne uno che non sa trovare un proprio carattere e un proprio modo di imporsi, che non sa in qualche modo mostrarti niente di nuovo, mi sembra un po' vano e vanaglorioso, una velleità palesemente irraggiunta e deludente.
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