Regia di Claudio Caligari vedi scheda film
Forse immaturo ed artigianale ma assolutamente generoso negli intenti e convincente nei risultati
Nel 1998, dopo la bellezza di quindici anni da Amore Tossico, film sulla dipendenza girato con attori non professionisti, Claudio Caligari, il poeta dell'Ostia dei drogati deceduto da qualche anno, torna sul luogo del delitto (la regia) realizzando questo duro film che rielabora una storia vera di malavitosi, quella della banda dell'arancia meccanica, costituita da un gruppetto di sventurati rapinatori delle periferie romane, evolutisi nel tempo da ladri di pellicce a ladri d'appartamento, le cui gesta furono romanzate in un racconto di Dido Sacchettoni (Le notti di arancia meccanica) a cui il film di Caligari si ispira liberamente.
Qui l'attore protagonista è Valerio Mastandrea, che interpreta Remo Guerra, giovane poliziotto "in guerra" che vive in simbiosi con la notte, dove come secondo mestiere fa il ladro, in un moto di insofferenza e ribellione verso le gerarchie di comando, spesso corrotte o incoerenti. Remo vive in un quartiere degradato delle borgate romane e alle sue avventure collaborano Maurizio Leggeri (Marco Giallini), abile nel guidare l'auto per le fughe e che svolge questo "mestiere" perchè ama le donne ed il divertimento, e Roberto Salvo (Giorgio Tirabassi), che è moralmente contrario, ma opera costretto dalle necessità economiche. Loro principale obiettivo sono i ricchi borghesi che passeggiano la sera per strada, a cui rubano pellicce, portafogli ed oggetti di lusso vari. Tutto sembra ripetersi quasi ciclicamente, ma ad un certo punto i soci di Remo si defilano, almeno temporaneamente, al punto da costringerlo a scegliersi come collaboratore "il Rozzo" (Emanuel Bevilacqua), un trucido personaggio il cui padre ha conquistato la posizione di sfasciacarrozze partendo dal mestiere di rovistatore di spazzatura. Il Rozzo ha cercato Remo per mesi, senza mai chiedergli esplicitamente di poter collaborare, e non vede l'ora di sfogare la propria cieca violenza sulle vittime della notte.
La sete di soldi (per Remo e Roberto mai considerati un fine quanto piuttosto uno strumento necessario) e la voglia di superare costantemente se stessi, spinge il gruppo, ritornato anche Maurizio, ad intrufolarsi nelle case della Roma bene, bloccando per strada i proprietari e facendosi condurre nelle relative ville, con bottini sempre più copiosi. Nel frattempo Roberto, con l'aiuto dello stesso Remo, prova a rilevare un vecchio bar di periferia, ma il fiume di soldi necessari per le spese di avvio non farà che trasformare anche il gioco delle rapine nell'ennesima gabbia che intrappolerà l'ormai ex-poliziotto, costringendolo ad una attività da cui vorrebbe da tempo liberarsi.
Lo schema narrativo è semplice, ma sullo stesso si innesta alla perfezione la messa in scena della disperazione dei protagonisti, incapaci di individuare una via di fuga dalla propria condizione di emarginazione e per i quali dunque la rapina non rappresenta altro che un motivo di riscatto nei confronti di una società che li ha messi all'angolo e che per Remo, più che per gli altri, è un desiderio di uscire dalla "merda" che si sente addosso nella propria borgata. La prevaricazione sull'altro, fisica e di conseguenza psicologica, appare dunque la valvola di sfogo con cui i protagonisti provano a combattere contro la durezza della propria arida vita, il pericolo e il rischio sono l'adrenalina che alimenta le loro azioni.
Funziona molto bene lo stile spartano e secco di Caligari, violento ma non splatter quanto lo erano certi B-movies nostrani, e non ci sono mai cadute di tensione o ritmi desincronizzati con l'incalzare di questa storia un po' anarcoide di ribellione e violenza. I protagonisti sembrano inoltre perfettamente amalgamati: la miscela tra attori di mestiere e non professionisti - secondo la migliore tradizione di matrice neorealistica - pare assolutamente efficace.
Notevoli le interpretazioni di Mastandrea, perfetto nel rendere l'idea dell'uomo in perenne conflitto interiore, e di Giallini, quest'ultimo vera e propria sagoma di indolenza, pur nei suoi malinconici ricordi dei tempi del collegio, quando leggere un testo equivaleva a non ricordarne minimamente il contenuto. Stra-cult il suo incontro con Little Tony, che costringe a cantare con una pistola puntata sulla fronte ("Ma che fai Little, me stony?"), mentre gli altri svaligiano la casa dell'amante del cantante.
Verso il finale il film riserva una zampata avvelenata sull'impenetrabile mondo della politica democristiana, con la sua ipocrisia perbenista, il suo garantire a seconda delle convenienze posti di lavoro facili in cui "non devi fare niente" ed il suo arricchirsi con ingenti flussi di danaro di dubbia provenienza.
Alcune immagini si ispirano senza alcuna ombra di dubbio ad analoghi fotogrammi di Taxi Driver (il piede sul televisore, gli allenamenti con la pistola allo specchio) mentre l'inquadratura in chiusura di Remo che si gira verso la camera e spara, citando analoga scena presente in The Great -Train Robbery di Porter, cala il sipario in maniera assai suggestiva.
L'Odore della notte fu presentato alla Settimana della Critica al Festival del Cinema di Venezia nel 1998, aprendo il filone della Roma criminale, ed è ormai divenuto un cult come il suo predecessore. Venne citato perfino nel Film quiz di Nanni Moretti, che segnalava come indizio le scene iniziali del furto di pellicce.
Sicuramente si tratta di cinema emarginato al pari dei protagonisti che intende portare sul grande schermo, probabilmente immaturo ed artigianale ma assolutamente generoso negli intenti e convincente nei risultati. Forse il suo limite sta nella incertezza tra la voglia di rappresentare storie di disumanità varia e gli intenti di vera e propria denuncia politica.
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