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L'odore della notte

Regia di Claudio Caligari vedi scheda film

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ndr94

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La recensione su L'odore della notte

di ndr94
8 stelle

Poliziotto di professione, di notte veste i panni dell’antieroe non mascherato che ruba ai ricchi per saziare …i ladri !

Un film ricco, ma così ricco che neanche La banda delle case sarebbe stata in grado di svaligiarlo. Pensare che tutte quelle citazioni, provocazioni, riflessioni, innesti facciano parte di un’unica pellicola mi toglie il fiato. Perché ce ne vuole di fiato per seguire L’odore della notte. Senza un tempo morto che permetta alla fronte di distendersi. Caligari resta fedele alla sua terra e fortemente legato all’interesse per gli emarginati, la periferia, i vinti. La sua idea di cinema, caratterizzata da un forte realismo sociale, potrebbe racchiudersi in una sola sequenza che potremmo ergere a paradigma dei suoi tre film: la spiaggia di Ostia, così vituperata, stuprata ed abbandonata al degrado – degrado che si rispecchia al contempo in quello sociale della Roma degli anni ‘80 e ’90 – e che trova un magro riscatto nella rabbia dello spettatore che è costretto ad assistere impotente e a ritrovarsi per forza di cose complice di Remo, protagonista del film, quest’antieroe decadente, ideologicamente schierato, consapevole della rovina che lo attende ma quasi perseverante nel voler concedere un’occasione di riscatto ai suoi compagni di borgata. Poliziotto di professione, di notte veste i panni dell’antieroe non mascherato che ruba ai ricchi per saziare …i ladri. De iure ma non de facto. Si perché Remo, un sempre brillante Mastrandrea, fa il poliziotto e per citare Pasolini, tanto caro al regista, i “poliziotti sono figli di poveri”, quei poveri costretti al furto, che con il furto hanno condiviso l’infanzia e l’adolescenza, come il Rozzo che esce innocente del suo reato perché non ha conosciuto alternative e condotto la sua esistenza in una “libertà avvelenata”, senza via di scampo. Lo sconfinato amore di Caligari per il cinema si rivela nelle molteplici citazioni, dirette e indirette come nella scena in cui Mastrandrea cerca di specchiarsi e misurarsi con la statuaria interpretazione di De Niro in Taxi Driver o ancora in una successione di piani inframezzati da spezzoni di The Great Train Robbey (1903), il celebre cortometraggio di Porter citato quanto mai a proposito. I toni mesti, disillusi e rassegnati fluttuano anche fra le note di Rino Gaetano, altro protagonista invisibile della pellicola, e della sua Aida citata, affatto casualmente, nel momento in cui si racconta con ironica ferocia il fallimento della nostra repubblica: «Aida/ la costituente/la democrazia/e chi ce l'ha/e poi trent'anni/di safari/fra antilopi e giaguari/sciacalli e lapin”». Quegli sciacalli che dietro lo scudo crociato nascondevano la valigetta piena di mazzette e portavano a cena il cardinale, quelle antilopi che hanno costruito sulla buonafede di onesti cittadini le loro ricchezze perpetuando il bene per conseguire il male (capovolgendo una celebre citazione). Eclettico nel suo genere, dai toni pulp, nelle forme risente forse del fenomeno Tarantino, dilagante in quegli anni, ma nella sostanza resta genuinamente italiano e naviga fra il noir-poliziesco alla Di Leo e le atmosfere letterarie che ritroviamo nelle pagine di Lucarelli che, appena un anno prima, pubblicava il suo miglior successo: Almost Blue.

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