Regia di Claudio Caligari vedi scheda film
Il film "di mezzo" nella trilogia di Calegari, che qui non raggiunge l'empatia di "Non essere cattivo" nè la disperazione di "Amore tossico" ma che comunque restituisce un efficace racconto di una criminalità romana senza velleità politiche o rivoluzionarie, ma con il semplice bisogno di avere sempre soldi facili a disposizione
Claudio Caligari nella sua esigua produzione cinematografica, dopo il pugno nello stomaco di "Amore tossico" dell' 83, torna 10 anni dopo con una storia che si ispira alle vicende della banda di criminali romani della cosiddetta "Arancia meccanica", autori di rapine cruente ai danni di ricchi e potenti capitolini. Valerio Mastrandrea, al suo primo vero ruolo drammatico, è tutto sommato credibile nella parte di un ex poliziotto che diventa un capo-banda implacabile e senza tentennamenti, figlio di una borgata dove trova gli altri complici di sventura alla continua disperata ricerca di soldi facili (tra cui i giovani attori emergenti Giallini e Tirabassi). Il desiderio di mettere la testa a posto è sempre dietro l'angolo, ma l'occasione di aprire un bar sarà foriero di altri debiti e di conseguenti nuove rapine (tra cui quella a Little Tony che qui interpreta sè stesso). Un film asciutto e senza fronzoli, forse fin troppo asettico rispetto al successivo "testamento" di Caligari, quel "Non essere cattivo" dove emerge un maggior spessore nel costruire i personaggi ed anche una certa più palpabile empatia con il mondo dei disperati che si danno una facciata di duri, ma che poco alla volta sciolgono le proprie velleità criminali come neve al sole.
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