Regia di Luigi Petrini vedi scheda film
Un puglie campano, dopo aver assistito all’omicidio del padre per mano di un boss della camorra, trova nello sport il suo riscatto. La sorellina adolescente, che ha perso la parola in seguito a quell’attentato, lo segue come sua prima tifosa.
Dopo un rapido apprendistato che conta due titoli in qualità di aiuto di Campogalliani e di Baldi (rispettivamente Rosmunda e Alboino e Due selvaggi a corte), Luigi Petrini passa in prima persona dietro la macchina da presa nel 1964 (Una storia di notte) e comincia quindi a licenziare pellicole popolari a basso o bassissimo budget. Con buona frequenza proseguirà con tale ruolino di marcia per una quindicina d’anni, per poi evidentemente arrendersi al declino del film di genere e all’ascesa di canali televisivi privati e homevideo. Fra le sue ultime produzioni c’è questo Ring, un film a dir poco sconclusionato che mette insieme elementi di poliziottesco/gangster in salsa camorristica con aperti riferimenti alle tipiche incursioni cinematografiche di quegli anni nell’universo sportivo (non a caso il banalissimo titolo si riferisce al quadrato della boxe), per sfociare infine in un vero e proprio lacrima movie, altro elemento basilare della produzione sul grande schermo italiano dell’epoca. Ring è, insomma, un guazzabuglio senza capo né coda che fa leva su una storia (sceneggiatura di Elfriede Gang e del regista) raffazzonata e pulsante emozioni forti, e una serie di interpreti presi dalle terze linee: Mario Cutini, Stella Carnacina, Nino Vingelli, Nikki Gentile, Armando Marra e la giovanissima Giorgia Lepore, con parti minori anche per l’esordiente Vittorio Vitolo – meglio noto in futuro come Victor Cavallo – e per il caratterista milanese, ma spesso come qui doppiato con accento emiliano, Pupo De Luca. Nemmeno il ritmo o l’azione salvano un minimo la blanda narrazione. 2,5/10.
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