Regia di Tyler Taormina vedi scheda film
(In)Dolente Innocenza.
Antinomica rispetto all’omonimo “Panino al Prosciutto” (1982) di Charles Bukowski, anche se sempre di un affacciarsi al (l’altro) mondo si tratta, e “più” attinente, ma del tutto collateralmente (anche se pur sempre vagamente alcolico), e con un bel cambio di specie, genere, famiglia, ordine e classe (oltre che di ruolo: da cacciatore-raccoglitore a “prescelto benedetto / preda sacrificale”), da Homo s. sapiens ad Anas sp., al Catcher nella Segale (1951) di un traslato (d)al mondo qual era J.D. Salinger, la nettamente bipartita opera prima di Tyler Taormina (scritta da lui stesso con Eric Berger), utilizzando un armamentario di pallide solarizzazioni, tendine orizzontali, dissolvenze incrociate, albe apparenti e immot’imbrunire còlti durante la transizione fra il sorgere/tramontar del sole e lo spegnersi/accendersi dell’illuminazione pubblica e della segnaletica visivo-sonora semaforica, di un accendino, delle luci frontali di sicurezza dei monopattini e sneaker Converse.
La pellucida fotografia di Carson Lund (girata in 4K con una Scarlet-X della RED sul mercato ormai da quasi 10 anni), il serafico montaggio di Kevin Anton, le sognanti musiche originali scritte e suonate dello stesso regista con Jonathan Davies e Jackson Wargo (mentre quelle preesistenti in zona indie/alternative sono di Deuter, Infinity Girl, Beach Moon/Peach Moon, etc...), assieme alle evocative regia e sceneggiatura, pescano e raccolgono, singolarmente o di concerto, attraversandoli e partecipandovi, dai mondi di “Twin Peaks”, “PicNic at Hanging Rock”, “Dazed and Confused”, “the Virgin Suicides”, “Me and You and EveryOne We Know”, “Stop the Pounding Heart”, “Violet”, “It Follows”, “lo Zio Boonmee al Mekong Hotel” e... “Sponge Bob”, in un’a-temporalità che si libra fra gli anni ‘50 e i ‘90 del XX secolo.
Coerenti e coadiuvanti tutti i giovani e non attori esordienti e semi-tali.
Produzione: Tago Clearing e Omnes. Distribuzione: Factory 25 (“Impolex”, “the Color Wheel”, “New Jerusalem”, “Sun Don’t Shine”, “All the Light in the Sky”).
Poi, di colpo, mi tornò in mente una cosa. - Senta un po', - dissi. - Sa le anitre che stanno in quello stagno vicino a Central Park South? Quel laghetto? Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anitre quando il lago gela? Lo sa, per caso? - Mi rendevo conto che c'era soltanto una probabilità su un milione. Lui si girò a guardarmi come se fossi matto. - Che ti salta in testa, amico? - disse. - Mi prendi per fesso? - No, mi interessava, ecco tutto.
•••••• J.D. Salinger, “the Catcher in the Rye”, 1951 ••••••
- Ci passa mai vicino allo stagno di Central Park? Giù vicino a Central Park South? - Al cosa? - Allo stagno. Quel laghetto, cos'è, che c'è laggiù. Dove ci sono le anitre, sa? - Sì, e allora? - Be', sa le anitre che ci nuotano dentro? In primavera eccetera eccetera? Che per caso sa dove vanno d'inverno? - Dove vanno chi? - Le anitre. Lei lo sa, per caso? Voglio dire, vanno a prenderle con un camion o vattelappesca e le portano via, oppure volano via da sole, verso sud o vattelappesca?
Le ragazze e i ragazzi, quando giunge l’estate.
Crescita, fioritura.
Trapianto.
Maturazione, mietitura.
Carne da macello sui campi dell’Eden.
Sia lode ora e sempre alla strobosfera pelopiumata.
Ave alla grande e lattea palla baluginosa.
E ai cascami, i lacerti, le rigaglie umane: i restanti, i rimanenti, gli esclusi, gl’invitti, i reietti, i non-bocconiani!, i sopravvissuti e i sopravviventi (sono arrivato a Luciano Ligabue, direi che può anche essere il caso di fermarsi qua) che si sono attardati, che sono stati scartati e rifiutati, che se ne sono bellamente andati per la loro strada lasciando a Monty’s i suoi panini dimmerda, le sue reliquie in vetrina (decalcomaniache impronte rupestri da toccare consegnando la propria appartenenza alle Olimpiadi dell’orientamento scolastico-lavorativo) e il suo girare per tre volte sulle palle del toro col tallone destro.
Trascendere! In un “terminale” rito di passaggio fra l’incanto e lo scanto.
“Gwen, I’m so good. Life is so good. Honestly, everything is so good. Love, your sister Amy.”
Autistiche cartoline stereoscopiche dall’al di là / altro quando / nessun dove: MIR/ISS e mani giunte in preghiera.
Il contesto, a grandi linee, è calibrato, limpido e “preciso”, descritto tra le righe: “Lo sa che lavorare oggi è insopportabile per me?!”, chiede/dice un ragazzo al padrone della tavola calda: chiaramente entrambi - non solo il giovane, ma anche l’adulto - appartengono ai rigettati, ai rifiutati, agli scartati, alla schiera di quelli che non avranno altro da fare, d’ora in poi, nella vita, che pulire i cofani delle auto col culo.
I bambini della mia età li ho conosciuti all’asilo. Sembravano molto strani, ridevano e parlavano e avevano l’aria felice. Non mi piacevano. Mi sentivo sempre la nausea, come se stessi per vomitare, e l’aria sembrava stranamente immobile e bianca. - C.Bukowski, “Ham on Rye”, 1982.
Ma poi chissà, mentre gli altri sono impegnati a ri(s)fondare lo zeitgeist nella vicina Silicon Valley così come sull’altra costa a Wall Street, il mondo verrà forse performato meglio da chi, da una suburbana California, con (in)dolente (e "falsa") innocenza sogna (cavalcando un mito americano di ennesima mano) un viaggio nelle plainview dagli sconfinati orizzonti del MidWest (come dire dai Parioli brami il Padule di Fucecchio o da Brera desideri il Bilanciere del Veneto).
Tenetevi le vostre lontane prospettive predestinate, io mi godo i miei dintorni illimitati.
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