SHORTS INTERNATIONAL FILM FESTIVAL
"Alla gente non piacciono le foreste tropicali, piene di scimmie, liane ed uccelli, perché dove c'è molta vita, c'è anche molta morte.
La gente preferisce i campi ordinati, i filari di alberi aperti come crocifissi; perché dove c'è meno vita, c'è anche meno morte".
Questa agognata uniformità di intenti è la medicina più adatta per condizionare le masse obbedienti e disciplinate, affinché l'ardito imprenditore possa portare a termine il suo progetto, garantendosi il successo e la scalata sociale tanto agognata.
L'ambizioso progetto di ristrutturare una ventina di immobili cadenti un tempo destinati ad accoglienza alberghiera, e per l'occasione destinati ad essere trasformati in lussuosi centri di accoglienza per anziani agiati, magari fornendo loro l'illusione che la morte, attraverso questi splendidi centri ultraccessoriati, possa essere procrastinata più avanti del previsto, è il progetto che galvanizza un astuto costruttore, ed il suo impresario.
Quest'ultimo è un uomo in buona fede, felice di tornare a riprendere a costruire, riattivando un'azienda familiare che vede coinvolte anche moglie e figlie.
Ma quando le banche si tireranno indietro all'improvviso, quando l'intervento di altri imprenditori sciacalli farà capolino per cercare di arraffarsi il progetto intenzionalmente condotto verso una deriva altrimenti evitabile, ecco che, come nel domino, tutti i tasselli ordinari e deboli vengono spinti a terra da una gravità d'urto inesorabile, che trascina uno dopo l'altro ogni tassello nella miseria e nella disperazione.
Il regista di Piccola Patria, Alessandro Rossetto, ci conduce, attraverso l'atonia rassegnata di una voce narrante che ne scandisce le disastrose, drammatiche fasi, lungo la strada che culmina in un burrone senza alternative, in cui sono destinati a precipitare i componenti di un tessuto industriale e commerciale che non riesce a non farsi guidare dalla mano disonesta di biechi speculatori e cecchini.
La storia è nota, ma il film, ambientato in un Nord Est cupo e quasi lunare dove contano solo gli "schei" ed il modo di sottrarli agli altri, ha il pregio di scandirla senza inutili enfasi o eccessi melodrammatici, mantenendo una coerente asciuttezza, scalfita solo in parte da una certa calcata inverosimiglianza di alcuni tra i personaggi più biechi e disonesti (la dirigente di banca spietata ma pure lei vittima di una macchinazione che la vede soccombere, interpretata qui dalla pur brava Lucia Mascino, come pure lo scaltro e losco industriale che agisce nell'ombra da Hong Kong, reso dall'altrettanto valido attore Marco Paolini) che intervengono a compromettere un progetto nato da una voglia di mettersi alla prova e ambire a creare qualcosa di valido, nel rispetto di un giusto, seppur lauto profitto.
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