Regia di Alessandro Rossetto vedi scheda film
In una cittadina del nordest italiano la crisi degli anni Duemila ha messo in ginocchio l’economia locale. A soffrirne maggiormente, un po’ come tutto il settentrione d’Italia, è il settore dell’edilizia, che stenta a ripartire anche quando il peggio sembra essere oramai passato. I cantieri lasciati in sospeso per mancanza di fondi hanno generato ecomostri che, incompleti o invenduti, deturpano il paesaggio e non sono funzionali a nulla. L’idea del geometra Gianni Colombo, per cui progettare e dopo costruire equivale a dare vita, e dell’imprenditore edile Franco Rampazzo, onesto marito e padre di famiglia, è semplice: acquistare gli edifici e trasformarli in qualcosa di nuovo. Partono da un semplice dato statistico per il loro promettente progetto: nel 2050, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero di persone anziane sul pianeta Terra sarà maggiore di quello dei giovani. La terza età si trasformerà così in quello che in pubblicità si è soliti chiamare target pregiato: gli anziani saranno coloro che, grazie al denaro, avranno il potere d’acquisto maggiore. A loro è dunque destinato il progetto New Old: pensando a una nuova destinazione d’uso degli edifici, Colombo e Rampazzo avviano un progetto residenziale di 2500 appartamenti di lusso destinati ai ricchi anziani di tutto il mondo.
Dapprima con i piedi per terra, i due iniziano presto a volare: le banche, affascinate dal progetto, dispensano fideiussioni grazie alle quali si avviano i lavori, si pagano tangenti al funzionario dell’ufficio tecnico comunale, si acquistano proprietà su cui pendono ipoteche, si elargiscono “donazioni” a Santa Madre Chiesa, si commissionano lavori e si assumono operai. Intere famiglie dipendono dalla rinascita del settore: dai manovali provenienti dall’Europa orientale ai camionisti cosentini, tutti godono dei benefici portati dalla New Old e dalla sua avveniristica potenzialità. Come spesso accade, però, il dio denaro avvicina o separa le persone. Non contano le latitudini o i background di appartenenza: il denaro rende il mondo simile a un acquario, all’interno del quale – dentro ai confini di una scatola senza morale, decenza o pietà – i pesci più piccoli mangiano quelli più grossi. Dall’Estremo Oriente agli Stati Uniti, la New Old richiama investitori, ognuno dei quali pronto a far fuori i rivali. Basta un singolo evento, generato dalle lotte intestine all’interno di una fantomatica Banca Industriale, a generare un effetto domino che rivoluziona esistenze, riscrive i rapporti personali e smorza i sogni. I sogni di un uno diventano rapidamente gli incubi di un altro: la discesa in campo della dirigente bancaria Guarnieri fa venire meno il prestito del suo istituto e, uno dietro l’altro, i benefici di cui Rampazzo gode. A beneficiarne, in un gioco di crudeli rimandi, è il suo peggiore nemico, tal Marcello Fabris, a cui Luisa, la figlia di Rampazzo e valida capocantiere vende anche la propria dignità di donna.
Homo homini lupus diventa il mantra del lavoro di Rossetto, che riprende in Effetto domino l’omonimo romanzo di Romolo Bugaro per farne un film di denuncia che richiama un certo tipo di cinema, rigoroso e asciutto, che in Italia si fa sempre più fatica a produrre. Nel tessere le fila di una serie di personaggi, ora limpidi ora machiavellici, il padovano Rossetto si affida al proprio territorio per offrire uno spaccato sociologico dell’Italia e, per compensazione, del mondo di oggi. Non esistono più i valori di un tempo: sono stati soppiantati dall’avarizia e dal desiderio di accumulo. Amicizia e parola data non valgono nulla di fronte a un conto in banca capace con i suoi zero di uccidere vite o di portarle nelle stanze del potere. Rimanere ancorati a vecchi sistemi equivale, come urla la moglie di Rampazzo, a non avere coglioni: chi non mangia, viene inevitabilmente mangiato. In una scacchiera in cui tutti si è pedine, non ci si può concedere il lusso di distrarsi o di non fare nulla (non abbiamo fatto niente, ricorda Luisa nel duro confronto che ha con la sorella Renata): le dame, con le loro mille direzioni incontrollabili, sono sempre in azione.
La dimensione sociale è quella che sembra interessare maggiormente il regista, che dopo il folgorante esordio con Piccola patria (delle cui attrici protagoniste Roveran e Da Soller, oramai cresciute, non si libera) firma un altro gioiello che distrattamente il Festival di Venezia ha collocato nella sezione Sconfini quando poteva ben figurare in concorso. Raro caso italiano in cui si guarda al microcosmo del presente, Effetto domino non cede mai alla tentazione della facile metafora e non risparmia colpi crudi (dal suicidio di un piccolo imprenditore alla disperazione familiare del francese Darnac, prezioso cameo di Olivier Rabourdin, passando per il disincanto del prete di Vitaliano Trevisan e l’ambivalenza del direttore generale Vöckler di Marco Paolini), prendendo di mira anche chi, per potere, è pronto a sacrificare esistenze su esistenze. Con un cast variegato che unisce la giovane Maria Roveran, astro meritatamente in ascesa del nostro asfittico panorama di attrici nei panni di Luisa, alla più navigata Lucia Mascino, in quelli cinici della Guarnieri, il film di Rossetto ha la sua forza nel messaggio che trasuda da ogni inquadratura, restituita da colori (dal grigio plumbeo al nero) che riflettono i toni stessi della storia. Suddiviso in sette capitoli, ha nella voce fuori campo di Paolo Pierobon quel quid in più utile a capire certi snodi di sceneggiatura non facilmente districabili.
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