Regia di Alessandro Rossetto vedi scheda film
Il film descrive con assoluta veridicità quello che è a tutti gli effetti il domino dei fallimenti a catena, in un sistema economico basato sulle partite di giro tra i vari anelli della catena, dove basta che salti un dente per bloccare l'intero ingranaggio. Si percepisce che la scrittura è fatta da chi conosce bene l'ambiente che sta descrivendo e le sue dinamiche e questo è un notevole pregio. Poi però il passaggio dalla conoscenza tecnica della materia alla resa artistica, incontra dei forti limiti. Il principale è la scelta legittima di uno stile realistico in ragione dell'uso di un dialetto stretto e di attori "locali", cui però si affianca una voce narrante che sente il dovere di spiegare con la dizione impeccabile di Paolini. Questo tenere il piede in due staffe, questo non credere fino in fondo alla forza della realtà è un difetto che toglie potenza alla storia: forse bisognava osare molto di più. Tanto valeva affidarsi allora al neoralismo di un italiano corrente con leggera inflessione regionalista evitando l'effetto un po' pedante e didascalico dello spiegone in sottofondo. Altro limite è il ricorso al grande pesce cattivo che viene da fuori e si sbrana la fauna autoctona, in questo caso lo squalo cinese che, un po' manager, un po' filosofo zen, decide i destini dei protagonisti nostrani: una figura troppo artificiosa, troppo immaginifica, che stona in un quadro intriso di vita vissuta. Insomma il risultato finale è blando, perché tocca ma non graffia, graffia ma non ferisce, ferisce ma non sanguina e in questi casi, invece, il sangue scorre copioso.
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