Regia di Federico Ferrone, Michele Manzolini vedi scheda film
L’Istituto Luce e l’Home Movies – Archivio Nazionale dei Film di Famiglia rappresentano un immenso tesoro che la cultura audiovisiva italiana dovrebbe custodire come il più ricercato dei diamanti. Dalle loro immense videoteche è possibile infatti rivedere pagine vere, pubbliche e private, di ciò che siamo stati e, in qualche caso, speriamo di non ritornare a essere. L’Istituto Luce, per esigenze di propaganda, ha seguito pari passo l’ascesa mussoliniana, gli anni di potere del Duce e, inevitabilmente, la sua caduta. Logico dunque che tra gli scaffali dell’archivio si trovino anche le immagini della campagna russa del 1941 quando, in seguito all’invasione dell’Unione Sovietica da parte delle forze della Germania nazista, l’Italia decise di intervenire mandando rinforzi militari al suo alleato.
Come tutti sanno, quella che doveva essere nella logica dei tedeschi l’ultima guerra d’Europa (dopo la quale la Germania, con l’avallo dell’Italia, avrebbe garantito la pace) si trasformò in una carneficina senza precedenti su tutti i fronti. In caso di guerra è infatti impossibile fare distinzioni sulla nazionalità dei morti: che siano tedeschi, italiani, russi o ebrei, i morti sono morti, soprattutto quando a perire sono coloro che delle sorti del conflitto non avrebbero mai avuto alcun vantaggio. La missione italiana in Russia, cominciata con i soldati quasi felici di partire, si rivelò nel giro di pochi mesi un boomerang dalle forti conseguenze sia politiche sia civili. Il gelido inverno russo diede il colpo finale alla già impreparata compagine italiana che, a fronte di militari con qualche esperienza nell’Africa coloniale, era composta soprattutto da giovani provenienti da ogni dove della penisola senza alcuna cognizione di cosa fosse una guerra. Il cinema ha ben narrato quale impatto sociale ebbe quanto avvenne in quei due lunghissimi anni e un valido esempio, al contempo tragico e comico, è dato da I girasoli di Vittorio De Sica.
Nonostante le macchine fotografiche e le cineprese fossero un oggetto d’élite per via dei costi quasi proibitivi, in quegli anni c’era anche chi poteva permettersi di fotografare la realtà e di riprenderla in maniera amatoriale. L’Home Movies protegge oggi queste rare prove e tra i video è possibile trovare quelli di Guglielmo Baldassini, Enrico Chierici, Adolfo Franzini e Giuseppe Vecchi. Con le loro pellicole ora in 9,5 mm ora in 6 mm (e talvolta anche in 8mm), comportandosi da operatori freelance ante litteram hanno lasciato testimonianze che nei libri di storia non trovano facilmente posto.
Coniugando le due diverse fonti e facendosi aiutare in fase di sceneggiatura da Wu Ming 2 (membro del collettivo Wu Ming), Federico Ferrone e Michele Manzolini danno vita a Il varco, un progetto sui generis che sulla scia di Il treno va a Mosca tenta la carta del racconto di finzione su immagini reali. Inventano nella fattispecie la storia di un militare che, figlio di una donna scappata dalla Russia anni prima e reduce dall’Etiopia, parte a bordo di uno dei tanti treni militari per raggiungere l’Unione Sovietica. Il treno attraversa paesaggi lontani e incrocia popoli diversi, dagli austriaci agli ungheresi: l’accoglienza è ogni volta la stessa, la sensazione è quella di far avventurarsi sempre più all’interno di una favola popolata da spettri e fantasmi. Una volta a destinazione, tutto sembra semplice: i ricordi si possono spegnere in bordelli allestiti per l’occasione e la quotidianità è dapprima fatta di facili vittorie. Su tutto, però, incombe l’ombra di un grande mostro, quel mostro che i russi sanno arriverà prima o poi e combatterà dalla loro parte: l’inverno. Non passerà molto prima che i soldati sognino bagni caldi, pasti confortevoli e letti veri, o si imbattano nelle prime tombe di italiani, destinati a mettere radici sei piedi sotto una terra che non è la loro. Freddo, pidocchi e infezioni intestine diventeranno armi di un clima che spinge chi resiste alla diserzione.
Nel redigere il loro racconto, narrato in prima persona dalla voce dallo scrittore e musicista Emidio Clementi, Ferrone, Manzolini e Wu Ming 2 tengono conto delle vere esperienze narrate da chi in Russia c’è stato veramente. Il varco è infatti ispirato alle vite e ai diari dei soldati Guido Balzani, Remo Canetta, Enrico Chierici, Adolfo Franzini, Nuto Rebelli e Mario Rigoni Stern, e ai loro giorni deve un pathos in crescendo che le immagini restituiscono con un montaggio sapiente, in cui l’ieri si fonde con l’oggi diventando (triste) triste presagio per il futuro. Tra tanto bianco e nero spiccano infatti sequenze a colori realizzate oggi da qualche parte nell’Ucraina, dove è ancora in corso la guerra: certo, è un’altra guerra, nata da altre motivazioni e figlia di altre suggestioni, ma ha sempre le stesse conseguenze. Militari e civili sono impegnati a sopravvivere, scoprendosi ora rivali ora alleati. Sguardi, luoghi e dolori rimangono inalterati: donne, bambini e anziani, restano ad attendere qualcuno che forse mai farà ritorno, mentre gli uomini mercanteggiano armi, soffrono il freddo e cerchino riparo in fabbriche in disuso, come in quel maledetto inizio di decennio.
I registi rendono omaggio a Luca Ferro inserendo immagini tratte dal corto Impressioni a distanza. A interessare sono ovviamente le sequenze africane in 8 mm realizzate da suo padre Giuseppe, giovane ufficiale in Etiopia, tra il 1935 e il 1936. Nel rendere coerente la narrazione, introducono lungo i settanta minuti di Il varco anche la fiaba polare russa Il soldato disertore e il diavolo di Aleksandr Nikolaevic Atanas’ev: letta da Iana Kichenko e ispirata vagamente al mito di Faust, fa da collante ora sentimentale ora narrativo.
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