Regia di Claudio Masin vedi scheda film
Per quanto si possa affermare di aver avuto a che fare con le peggiori ciofeche mai concepite, c’è sempre quel margine oltre il quale non si ha il coraggio di andare. “Soffi Tair” (uso la stessa pronuncia del simpatico faccione che propone questa sfida) va al di là di ogni possibile barriera dell’improponibile. Ha un’estetica stupefacente: tutte le immagini sono bruciate all’inverosimile, sembra che il set possa prendere fuoco inavvertitamente.. La recitazione: gli interpreti riescono a interloquire scambiandosi sguardi beoti e frasi smorzate senza dar senno alcuno ai dialoghi; la sceneggiatura, invece, non è mai arrivata a picchi così impervi: si ascoltano perle come «vuoi stare zitta, che non sei altro!», «tua sorella computerizzata», «non sembro Robocoppolo?!»; il doppiaggio toglie qualsivoglia dignità al concetto di sincronizzazione: vengono cannati completamente i labiali e certe volte gli attori parlano anche quando non muovono la bocca. La direzione è “avveniristica”: tra i controcampi le distanze fisiche che separano gli “eroi” si espandono da pochi passi a metri interi (lode ugualmente al montaggio), le scene d’azione sono rinvigorite da movimenti alla moviola incredibili, la tensione compitata dalle musiche della pubblicità della Barilla; la trama, nel frattempo, si allunga per i primi quarantacinque minuti nel vuoto assoluto (il film ne dura meno di novanta), e non succede nulla, finché i segmenti tragici definitivi saranno innestati con la delicatezza e la perizia con cui un elefante si muove in una cristalleria (ci sarebbero addirittura delle incongruenze, ma meglio non fare i “precisini”). Si ride però… e tanto. Dedicato alla memoria del produttore Giuseppe Castagna (?).
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