Regia di Emerald Fennell vedi scheda film
Film semplicemente assurdo. Ce l’ho anzitutto con l’agente di Carey Mulligan, attrice che ho nel cuore fin dal suo esordio, e che ancora sto aspettando di vedere esplodere dopo una serie infinita di film per lei totalmente inadeguati dei quali questo “Promising” è l’apoteosi più bruciante e crudele: proporre nella parte di strafica Femme Fatale, di Dark (Painted?) Lady, di Angelo della Vendetta a lei che non ne ha né il fisico, né l’indole somatica, non ne ha la voce, né lo sguardo, né il sorriso, significa la seconda, sicura bocciatura su due delle candidature all’Oscar sinora ricevute (la prima, quella per “An Education”, avrebbe meritato successo, ma al tempo c’era dietro una regista tanto intelligente quanto obliata quale Lone Sherfig , scuola danese dalle ossa dure, mica fischietti come questa smidollata londinese della Fennel...). Porterà male, me lo sento già da un po’, povera la mia sciocca, troppo ambiziosa Carey.
Fatto sta che, se ai tempi di “An Education” la definizione dei ruoli fu così efficace (ad esempio) da assegnare a Walter Molina e Cara Seymour il ruolo di padre e madre della protagonista, ai tempi di “Promising” viene scimmiottata la stessa coppia genitoriale di allora (rifiuto di memorizzarne/riportarne i pur degni nomi degli interpreti) mentre a Walter Molina viene assegnato un ruolo insignificante ed anonimo. Spia significativa, credo, di un (certo) cinema morente...
Il cast, appunto. La prima di una lunga serie di note dolenti... C’è un cast in questo film (a parte la “violentata” Mulligan)? Un cast che segua la trama? Tra i diecimila personaggi buttati dentro nel bulimico sbaraglio, possono gli ammiccamenti aspirati del cranio semovente di un Bo Burnham (l’impromesso sposo) rivestire un ruolo che possa dirsi importante, significante? C’è un senso per quella chilometrica accozzaglia di personaggi che si perde via via senza lasciare traccia/senso nella storia (la vecchia compagna di studi morettina che incontra al ristorante, la madre della sua vecchia amica, gli amici del suo presunto fidanzato?)
Seconda nota: lo colorimetria. Passi pur tutto (e per quel che mi riguarda, non potrebbe MAI passare...), ma ce la facciamo a sopportare la parrucca variegata sulla preziosa testolina della Mulligan nell’ultima scena in cui alla stessa le venga lasciato respiro? Siamo riusciti a passare indenni, prima di tanto obbrobrio, tra gli accecanti toni e contrasti dei vestiti, degli ambienti... Siamo riusciti a superare indenni due ore di roba che è tipo spot di Facebook su You Tube che ti arriva mentre ascolti una playlist di canti gregoriani?
Terza: la scenografia. Mi sa dire qualcuno dove (e domando: DOVE?? rispetto alla trama) si svolge la scena in cui la Mulligan, imparruccata bionda come fosse una dama del millesettecento in un salottino arredato alla mille e sei, interloquisce con non ricordo chi con sullo sfondo un grande quadro raffigurante un pastore tedesco teso di profilo?
Quarta (poi mi taccio): la sceneggiatura. Ma chi è Cassandra/Cassy? Non mi si osi dire che è la voce profetica inascoltata di una Profetessa del Fato, perché se no davvero mi alzo e me ne vado... Chi è? Cosa mi rappresenta? Come la si può accettare vedendola muoversi dal ruolo di crudele ingannatrice ad angioletto innamorato come una sedicenne, passando e trapassando per il ruolo di figlia ribelle e per quello di eccentrica e sfacciata barista di periferia che sputa nei caffè dei clienti, per poi essere quello di mancato genio della medicina e poi dell’aspirante mogliettina, poi quello della donna matura e determinata che non dimentica, non ha paura di nulla e non deve chiedere mai???
Insomma, confusione totale. Disastro. Un film al limite del ridicolo. Mi si dia finalmente il recapito dell’agente della Mulligan... ci penso poi io.
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