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Una donna promettente

Regia di Emerald Fennell vedi scheda film

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La recensione su Una donna promettente

di mck
8 stelle

Killing Adam.

 

 

Promising Young Woman” - una fanciulla promettente -, l’esordio nel lungometraggio di Emerald Fennell - attrice (“Call the MidWife”, “the Crown”) e sceneggiatrice (“Killing Eve - 2”) londinese classe 1985 come la sua protagonista -, è un’opera stratificata e coraggiosamente sui generis, scritta e - fra gli altri con Margot Robbie - prodotta dalla stessa regista, che conferma il talento dell’autrice: praticamente termina dopo un’ora di thriller-dramedy, per poi riprendere placidamente proseguendo così, per 15 minuti, lungo una falsariga romantica, e... sfociare in un’epifania - non inaspettata, ma comunque deflagrante - che porterà, nel giro di un altro quarto d’ora, ad una seconda svolta giroscopica, ancora più annichilente, direi in forma e sostanza totalizzanti: e da lì, sempre attraverso un eguale lasso di tempo, si giunge al finale, forse la parte - anche se contiene un ulteriore twist - più consueta [ed infatti imposta - pardon: suggerita - dalla produzione: e a tal riguardo, se pur di sponda, mi piace ricordare ciò che Ilaria Feole ha sottolineato ed evidenziato, in un editoriale di FilmTV, ovvero che la drammaturgia dell'opera in questione si fonda su un paradosso, citando, per richiamare alla mente questo topos, Giulio Sangiorgio, il quale, a proposito di "Things Heard & Seen", a sua volta scrisse che «se la donna vince, è solo e soltanto perché ha già perso»: in entrambi i casi ciò, oltre ad essere un luogo comune, è un dato di fatto, ma nello specifico per il lavoro in questione non si tratta di un dispositivo narratologico inconsapevolmente messo in scena dalla regista e sceneggiatrice, quasi come una derivazione collaterale, una conseguenza secondaria, un meccanismo che interviene automaticamente durante la stesura del copione, un cascame/lacerto/rigaglia "morale", perché, se pur indirizzata dai finanziatori, dal PdV etico è una precisa scelta del tutto (co)scientemente cercata, voluta e realizzata: e chi ci vede un lieto fine catartico ha bisogno di un sacco di diottrie morali in più...]. 

 


Una crasi fra “Looking for Mr. GoodBar” di Richard Brooks con Diane Keaton del 1977, “Outrage” di Ida Lupino con Mala Powers del 1950, “Samaria” di Kim Ki-duk del 2004 ed il recente "Rencor Tatuado" di Julián Hernández del 2018 (e aggiungiamoci due Jodie Foster dicotomiche e complementari: quella di “the Accused” di Jonathan Kaplan del 1988 e quella di “the Brave One” di Neil Jordan del 2007) che si muove fra il rimosso, il rimorso e il rimpianto (un mash-up di “the Brown Bunny” di Vincent Gallo con Chloe Sevigny del 2003, “FleaBag” di e con Phoebe Waller-Bridge del 2013 a teatro e 2016-’19 in tv e “Horse Girl” di Jeff Baena con Alison Brie del 2020) e l’elaborazione della vendetta in chiave "auto"-lesionista/distruttiva e al contempo dell’accettazione "liberatoria" (liminalmente alla zona così ben esplorata, descritta e rielaborata da “I May Destroy You”, la magnifica mini-serie di e con Michaela Coel, anch’essa di quest’anno) di un destino di abissale mostruosità già scritto per lei dalla società degli omminicchi ("In the Company of Men", che Neil LaBute scrisse e diresse prima per il teatro e poi per il cinema nel pieno dell'era "clintoniana" del politicamente corretto, mentre oggi ne stiamo - "noi" in media crapulescamente opulenta e satisfattamente satolla "civiltà occidentale" - vivendo un'altra, di ritorno, ma senza Philip Roth al timone).

 


Carey Mulligan (“Never Let Me Go”, “Drive”, “Shame”, “Inside Llewyn Davis”, “WildLife”), anche produttrice esecutiva, semplicemente, _è_ il film.

 


Ma il resto del cast è composto da caratteristi di razza e da grandi attori in parti minori che svolgono un lavoro altrettanto fondamentale: Alison Brie e Alfred Molina, Jennifer Coolidge e Clancy Brown, Molly Shannon e Connie Britton, Laverne Cox e Adam Brody, Bo Burnham (a cui non dispiace il caffè corretto) e Chris Lowell. E un come sempre indimenticabile Christopher "McLovin" Mintz-Plasse.
Ottimi fotografia (Benjamin Kracun: “Dublin Murders”, “the Third Day”), montaggio (Frédéric Thoraval: “Angel-A”, “Sinister”) e musiche (Anthony Willis: “Solo: a Star Wars Story”).

 


“Tesoro… Nina era come una figlia, per noi. Lo sai questo. Ci manca davvero. Ma, dio, ci sei mancata anche tu.”
Lacrima. Sipario. Ma è solo la fine del primo atto.
Di un film imperfetto, complesso (non per struttura, ma per contenuto) e molto bello. 

 

 

* * * ¾ (****) - 7.75    

 

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Killing Adam. E GoodBye Earl... 

 

 

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