Regia di John Sayles vedi scheda film
L’umanità trasmessa dalle immagini di John Sayles è cosa più unica che rara. Questo autentico cineasta indipendente – e, per favore, dimentichiamoci i vari pupilli di “indiewood” -, che gira un film americano nel quale verranno pronunciate tre o quattro battute in inglese (il resto, anzi, “il più” è un misto di spagnolo e dialetti indios), è tra i pochissimi a riuscire nell’impresa di realizzare un cinema di denuncia - nel senso più alto e profondo del termine -, eludendo questioni banalmente fattuali, e componendo spaccati umani e sociali di realistica intensità.
In Men With Guns – discutibile, la “traduzione” pacchiana e melodrammatica del titolo italiano –, di pistole non ce ne sono molte, e di colpi sparati ancora meno: ma ogni colpo, ogni arma (presente o evocata) ha il peso tragico e drammatico della realtà. Una realtà che, nel racconto saylesiano, si confonde col mito e con la leggenda.
Il dottor Fuentes parte per un viaggio in un luogo non meglio definito del centro-America. È alla ricerca dei suoi allievi di medicina, molti dei quali sono morti nelle guerriglie. Dal cinismo e dall’indifferenza della capitale (anch’essa indefinita, ma probabilmente si tratta di Città del Messico) si passa in una terra di nessuno, in cui ogni popolazione viene contraddistinta unicamente dal tipo di produzione della coltivazione - gentes de café, gentes de cana, gentes de sale, gentes de platano… Ognuna, ridotta in condizioni di miseria, a causa dell’uomo bianco e dai cosiddetti “men with guns”, razziatori e teppisti casuali. Teppisti come Domingo, disperato disertore di un gruppo paramilitare che, dopo aver rapinato il dottor Fuentes, si unisce a lui per un viaggio verso il leggendario villaggio di Cerca del Ciel.
Nonostante la profonda amarezza che contraddistingue la pellicola – pur intramezzata da momenti leggeri, ironici, nonché da altri, più sospesi, immersi nel lirismo della natura -, Sayles non vuole perdere la speranza. Ce lo suggeriscono in particolare i destini di Domingo, che da teppista casuale troverà uno scopo nella vita, proprio grazie all’incontro con il dottore, e di Graciela, una giovane ragazza diventata muta dopo una terribile violenza. È, infatti, proprio suo l’ultimo sguardo, l’ultimo sorriso con cui si chiude Angeli armati; un film tra i maggiori (pur nella sua paradossale irreperibilità) del regista più rappresentativo del cinema indipendente americano. Quello vero, ovviamente.
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