Regia di Edoardo Ponti vedi scheda film
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La anziana ebrea conosciuta come Madame Rosà, scampata ai tempi della guerra ai campi di sterminio, dei quali conserva ancora tatuato il numero di matricola a lei assegnato ancora poco più che bambina, si è da tempo rifugiata in un quartiere popolare barese, ove dapprima ha esercitato l'attività di prostituta, finendo, col divenire dell'età matura, per tramutarsi nella levatrice dei figli delle più giovani colleghe le quali, impossibilitate ad allevarli, li affidavano a lei in cambio di una ricompensa.
Di fatto la donna, tenace ma anche affettuosa, ha finito per divenire una mamma di quartiere, portando avanti questo particolare mestiere sino al raggiungimento di una ragguardevole soglia d'età.
Il giorno in cui un avvocato amico di Rosà, particolarmente impegnato nelle cause per la difesa dei minori, orfani e spesso figli di immigrati spariti o morti, tenta con successo di affidargli il piccolo ribelle Momo, ragazzo intelligente, acuto e furbo, ma avviato con precoce, travolgente successo sulla strada dello spaccio di alto livello di droga, ecco che tra i due nasce dapprima una relazione tutta scontri ed alterchi, fraintendimenti ed incomprensioni, che saprà tuttavia trasformarsi in un legame di ben altri sentimenti, destinato a far concludere in serenità l'esistenza di una donna destinata per tutta la vita a soccombere o ad alleviare, pur dietro compenso, sofferenze a piccoli sfortunati nati senza una vera famiglia.
Diretta, come avvenuto diverse volte nell'ultimo ventennio tra lungo e cortometraggi, dal devoto figli Edoardo Ponti, cosciente più che mai della fortuna di avere come madre una vera e propria icona in grado di trapanare lo schermo anche senza la necessità di copioni degni della sua statura d'interprete, La vita davanti a sé costituisce la seconda incursione cinematografica con cui si è proceduto ad adattare sullo schermo l'opera del noto scrittore francese Romain Gary, e tipico prodotto che pare scritto ad uso e consumo delle capacità divistiche di un personaggio femminile di spicco.
Capitò già nell'ormai lontano 1977 a Simone Signoret, unica vera gemma della originale trasposizione a cura di Moshe Mizrahi, che si prendeva comunque cura di adattare il romanzo alla contemporaneità e ai luoghi della medesima opera – il compito di far brillare un adattamento altrimenti poco meno che scialbo.
Ora alla vicenda viene mantenuta la contemporaneità attuale, con una Madame Rosà ancora più matura, mentre il luogo d'azione viene trasferito in Puglia, in una Bari tutta vicoli e mestieri clandestini, affiatamento e complicità tra poveri che sostituisce una legalità che pare un mero miraggio.
La sceneggiatura di codesto adattamento, che oltre al volenteroso Edoardo Ponti vede coinvolto anche un valente sceneggiatore come Ugo Chiti, in realtà qui è afflitta dall'affanno di semplificare e creare commistioni di situazioni, per sfruttare quel sentimento di indignazione e rapimento scorato che spesso inducono lo spettatore a far prevalere l'emozione sul senso critico: ne scaturisce un frullato di emozioni epidermiche sapientemente condotte ad uso e soddisfazione di un pubblico di massa, che ama veder mischiate storie di infanzie drammatiche, a riminiscenze di un olocausto troppo spesso considerato come un ricordo da libro di storia, qui mescolato senza troppi scrupoli con altra materia effervescente e di grande attualità, come è lo sfruttamento del lavoro minorile, dell'emarginazione dei clandestini, il razzismo dilagante, e persino la discriminazione a danno dei musulmani, additati tutti da una dilagante ignoranza generalista, come dei potenziali attentatori estremisti. E c'è posto pure per la tematica LGBT, con la vicina dal cuore d'oro che nasconde nelle sue pregevoli forme ormai molto femminili, un passato non solo da maschio, ma persino da pugile.
Insomma, un vero e proprio frullato convulso e cocciuto di argomenti, sentimenti e storie di vita, che la vicenda rappresentata in modo sin troppo elementare e lineare, si prodiga a spiattellare senza tregua, assecondando ogni disagio, ogni dramma, ogni torto subito, e raccordando tutto sotto la figura potente e prepotente (in senso buono) di Madame Rosà, come in un compito eseguito magari con lo stampino, ma con un indubbio impegno e una ostinata, quasi maniacale diligenza ben calcolata.
Poi certo, donna Sophia Loren è un portento che non buca semplicemente, ma arriva a trapanare lo schermo, anche quando si compiace di suoi vezzi ormai abituali, come quello di ostentare trucchi pesanti per apparire più vecchia non della sua età anagrafica (quella parrucca lunga a grigia foltissima alla Luigi XIV è ben ridicola quanto inutile vezzo ad ostentare una vecchiaia invero orgogliosamente fuori luogo anche nella Loren ottantaseienne di oggi), bensì del suo eccellente stato fisico, che la vede al contrario stagliarsi ritta e ancora affascinante nonostante la buffa parrucca grigia con cui si è scelto di rappresentare il suo personaggio, certo più complesso di quanto il filmetto scolastico e strappalacrime non riesca a far trapelare.
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