Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Nella Torino di fine ’800, gli operai di una fabbrica tessile scoprono la coscienza di classe. Tutto comincia con un incidente in cui uno di loro perde la mano: chiedono una riduzione dell’orario giornaliero (da 14 a 13 ore!), non la ottengono, allora decidono autonomamente di uscire in anticipo, ma all’ultimo momento hanno paura. Il salto di qualità si compie quando da Genova arriva un professore ricercato dalla polizia, che comincia a farli pensare in grande, pronunciando parole proibitissime quali “sciopero” e “occupazione”, e soprattutto apre i loro occhi: grazie a lui si accorgono delle condizioni miserabili in cui vive il siciliano (crumiro per necessità) che durante la pausa pranzo non ha neanche un pezzo di pane da mangiare, grazie a lui una mantenuta intuisce che quella da lei scelta è solo una forma diversa di sfruttamento. Un film tremendamente attuale oggi come lo era nell’Italia del boom: le guerre fra poveri ma anche i piccoli gesti di solidarietà, l’ambiguità dei colletti bianchi che fingono di mediare ma sotto sotto stanno dalla parte dei padroni, i poveri diavoli in divisa costretti a fare i cani da guardia del potere, le reciproche recriminazioni all’interno di un popolo mai stato veramente unito (“Qui in Piemonte va male da quando siete arrivati voi siciliani” “Mio padre dice invece che è la Sicilia che va male da quando siete arrivati voi piemontesi”). Il capolavoro misconosciuto di Monicelli, l’unico altro suo film all’altezza de I soliti ignoti, e che curiosamente finisce nello stesso modo: con i cancelli che si aprono per far entrare gli operai.
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