Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Uno sciopero tra gli operai piemontesi di fine Ottocento. Buon film collettivo, ben sostenuto da attori, sceneggiatori e regista.
La pellicola all'epoca fu un fiasco, come confessò il franco Mario Monicelli in un'intervista, perché a nessuno importava di vedere la dura vita degli operai nel Piemonte di fine Ottocento. E io aggiungo che forse il titolo stesso fu una scelta infelice. È chiaro, però, che l'insuccesso fu immeritato, se pensiamo ai pregi del film, ma ancor più ai lauti incassi realizzati da pellicole futili e sciatte.
Del resto, oltre al già citato Monicelli con sediola e megafono, il film può vantare le penne di Age e Scarpelli, che erano garanzia di verità, personaggi ben delineati, e realtà della vita dei poveri e del popolo, oltre all'apporto di bravi attori. Sorvolando sui volti noti o notissimi (come Mastroianni in un ruolo insolito), vediamo una giovane, paffutella, e quasi irriconoscibile Raffaella Carrà; il suo personaggio di timida operaia mi piace di più della leonessa che sarebbe diventata in televisione negli anni a venire.
Dal lato del contenuto, il film spezza una lancia per gli operai quasi senza diritti di allora, sfruttati da un padrone cinico e avido, e spinge in qualche modo verso una soluzione marxista dei conflitti di classe. La parola non viene mai pronunciata, ma è abbastanza evidente che tale è l'orientamento ideologico del professore interpretato da Mastroianni. Tuttavia, non ci sono toni didascalici e “dimostrativi”, e ciò rende il discorso digeribile anche ai non-marxisti.
E diciamola anche questa: è apprezzabile anche l'aver mostrato la condizione operaia nella regione che si proponeva all'epoca come guida morale per la neonata Italia, e il cui governo massonico proclamava la propria “superiorità morale” rispetto al Meridione, ai cattolici e ai comunisti.
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