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La parete di fango

Regia di Stanley Kramer vedi scheda film

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La recensione su La parete di fango

di Baliverna
7 stelle

Un bianco razzista e un negro in fuga incatenati assieme, e costretti dalle circostanze a fare amicizia. Ci voleva proprio una catena perché succedesse?

Non è male, ma Kramer ha fatto di meglio (come il bellissimo "L'ultima spiaggia"). Qui abbiamo due bravi attori, che hanno il coraggio di recitare quasi sempre sporchi e mal vestiti, una regia sobria e mai nervosa neanche nei momenti concitati dell'inseguimento, e un chiaro messaggio da comunicare. Proprio su questo punto sta secondo me qualche ombra del film, il quale eccede un po' in simbolismo e didascalismo. Questo a cominciare dal fatto che un bianco e un nero sono legati da una catena, e devono collaborare e imparare a stimarsi per togliersi d'impaccio. C'è poi qualche dialogo un po' troppo esplicito nel dare il pur condivisibile messaggio antirazzista.
La trama è lineare e robusta, ma a ben guardare i personaggi dei due protagonisti sono abbastanza approssimativi, specie quello interpretato da Tony Curtis. Ciò che sappiamo del loro passato è abbastanza indifferente, e anche i loro caratteri sono alquanto indeterminati. Paradossalmente, mi sono sembrati più riusciti e interessanti alcuni personaggi secondari, come quello che li libera dai contadini forcaioli e la donna della casetta. Il primo è un uomo immerso in una realtà di razzismo e di odio, che però se ne tira fuori, con discrezione e senza rumore, ma con una chiara scelta. Lei, invece, è una persona che per certi versi suscita compassione - specie per la sua solitudine - per altri disapprovazione, per il razzismo e la meschinità verso il fuggiasco negro. Molto negativi sono tutta una serie di personaggi collaterali, come alcuni rastrellatori e i contadini che vogliono impiccare gli evasi quasi per sfogare un sadismo che non ha nulla a che fare con i malcapitati. Da tutto ciò si evince un ritratto della provincia americana del Sud piuttosto sconfortante.
La parte migliore del film mi sembra l'ultima, perché più sincera e non didascalica. Anche lo sguardo finale dello sceriffo è degno di nota.

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