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La parete di fango

Regia di Stanley Kramer vedi scheda film

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La recensione su La parete di fango

di Fabelman
8 stelle

Due detenuti, due fuggiaschi, due colori di pelle diversi, ciascuno carceriere dell’altro in una simbiotica costrizione per via di una catena che dapprima lega due polsi ma che infine legherà due anime in un sorprendente sentimento di amicizia.

Si sa, Stanley Kramer cede con facilità alla tentazione di infarcire le proprie opere di cliché attraverso situazioni e personaggi fin troppo stereotipati; d’altronde quando il fine è produrre un film dal tono edificante il rischio di scivolarvi pur senza volerlo è sempre alto.

C’è da riconoscere altresì che (oltre agli indubbi meriti da attribuire ad un artista che ha scandito la propria filmografia con lavori di successo dalle forti tematiche sociali) se da un lato le sue pellicole sembrano banalizzate da una caratterizzazione complessiva poco acuta e arguta, tali produzioni hanno richiesto coraggio e uno spirito anticonformista in quanto rilasciate nel pieno di quegli anni in cui il sentimento generale non era granché sensibilizzato e sintonizzato verso un cambio di rotta e apertura mentale. Pertanto suoi titoli che oggi vengono un po’ bistrattati, sono stati all’epoca innovativi e controcorrente, audaci con un alto tasso di rischio (in termini di accoglienza e riscontro commerciale).

“La parete di fango” rientra appieno in questa considerazione; non esente da difetti, propone una riflessione sullo stretto vincolo che esiste (con la conseguente interdipendenza) tra ogni essere umano, rinnegare un uomo per elementi come il colore della pelle equivale a rinnegare se stessi. Ma non è un film che parla solo di razzismo, tutt’altro!

Emergono temi come la dignità dell’essere umano, da riconoscere ad un uomo libero così come ad uno in carcere anche se questi è evaso e fuggiasco (emblematico in questo caso il personaggio dello sceriffo a capo delle operazioni di ricerca interpretato da Theodore Bikel che ottenne una candidatura agli oscar per questo ruolo); i due protagonisti della fuga sono delineati in modo da offrire più di uno spunto di riflessione sui valori e sulla nobiltà d’animo che appartengono a uomini giustamente giudicati dalla legge ma non per questo peggiori di chi è libero in quanto innocente o solo fortunatamente non condannato, forse perché difeso da un sistema giudiziario imparziale e accondiscendente verso quegli stessi pregiudizi che pervadono la società nella quale opera e per i quali dovrebbe perlomeno offrire il proprio contributo affinché possano essere estirpati; la solitudine è un altro tema forte affrontato, vi è quella dei due protagonisti, approfondita dalle loro reciproche confidenze e confessioni, che richiama l’importanza del ruolo della famiglia e del disagio sociale dovuto alla sua disgregazione oltre a essere deputata al clima di pregiudizio e intolleranza razziale, ma vi è anche quella della donna (interpreta da Cara Williams, anche lei candidata all’Oscar) che, a suo modo, accoglie i due evasi e che soffre l’abbandono da parte del marito ritrovandosi anch'essa alla disperata ricerca di fuga; altri temi sono relativi all’esercizio del potere di uomini che confondono la giustizia col giustizialismo e comunque guidati da ambizione personale, così come una comunità rurale isolata diventa giustiziere e branco appena ne ha l’occasione ricordando allo spettatore il necessario impiego di un contesto civile e legale in cui eseguire le opportune condanne.

Tony Curtis e Sidney Poitier sono perfettamente a loro agio nei loro rispettivi ruoli, due fuggitivi che condividono dapprima una catena, poi sogni e speranze ed infine un insperato senso di lealtà; un’ottima recitazione per entrambi che non scade mai nel melodrammatico e condita da una sottile dose di umorismo. 

Umorismo e leggerezza che accompagnano le scene di inseguimento della polizia con cani segugio al seguito e, a proposito di ironia, una scena su tutte: il personaggio di Tony Curtis “braccato” da quella donna che lo ha accolto, poi sedotto e ora convinto a fuggire con lei, lui con in mano la catena che si è appena levato dalle mani consapevole che un’altra sta per avvinghiarsi al collo. . .sceglierà la prospettiva di essere riacciuffato e della galera, meglio rischiare di fuggire attraverso una palude fangosa e con sabbie mobili piuttosto che quell’asfissiante destino!

La pellicola è di grande valore anche sotto l’aspetto tecnico: di non facile realizzazione le sequenze nel fiume in piena o in fondo a quella parete di fango, appunto!. . .la regia con i suoi movimenti della macchina da presa non è mai banale, le riprese sono ben studiate e prova ne è che diversi fotogrammi sembrano veri e propri quadri con soggetti messi volutamente in posa.

Le statuette assegnate saranno due (sceneggiatura originale e fotografia, uno splendido bianco e nero diretto da Sam Leavitt) su ben nove candidature in tutto (miglior film, regia, montaggio e ai due protagonisti oltre le due candidature già citate).

Una storia edificante con un finale lieto a seconda dei punti di vista, che ci ricorda come in fin dei conti siamo tutti in fuga da qualcosa, meglio farlo con un buon compagno di viaggio.

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