Regia di Ettore Scola vedi scheda film
Uno dei lavori ingiustamente più misconosciuti di Ettore Scola narra l’indagine che un malinconico commissario forestiero conduce in una città del nordest italiano apparentemente morigerata: inutile a dire che scoprirà dissoluzione e corruzione morale diffuse in tutti gli strati della popolazione. Se la commedia all’italiana è sempre il racconto di un’evidente crisi individuale che riflette un malessere collettivo meno esposto (o viceversa), allora Il commissario Pepe è uno tra i più disincantati e cinici prodotti del filone, una delle prime trenodie al genere che il regista continuerà ad officiare nel corso del decennio successivo.
Partendo da un romanzo di Ugo Facco De La Garda e specchiandosi nella provincia dei signori & signori in un probabile omaggio a Pietro Germi (la galleria di facce-mostri) benché con un’estetica che immette nella provincia il gusto pop dell’epoca (tappezzerie, costumi), Scola e il sodale Ruggero Maccari chiudono gli anni sessanta con la struggente disillusione non solo nei confronti della mancata borghesia nostrana dedita ai vizi privati e alle pubbliche virtù ma anche verso i ceti più modesti, imbrigliati nella rete del malaffare quasi fossero sottomessi ad una sorta di logica padronale. Tanto l’affresco corale è privo di speranza quanto il ritratto individuale è intinto d’un’amarezza sconfinata, che s’accorda alla crepuscolare performance di un amarissimo Ugo Tognazzi, nella cui maschera pubblicamente gaudente si staglia la frustrazione di chi non sa adeguarsi al gregge, come a suo modo il reduce emarginato di Giuseppe Maffioli.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta