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Il commissario Pelissier

Regia di Claude Sautet vedi scheda film

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La recensione su Il commissario Pelissier

di joseba
8 stelle

Il commissario Max (Michel Piccoli), ex giudice istruttore declassatosi a poliziotto per eccesso di zelo, è ossessionato dall'idea di cogliere i criminali in flagrante per comminare loro il massimo della pena. In questa guerra personale contro la criminalità si spinge addirittura ad assumere il ruolo di agente provocatore, istigando Abel (Bernard Fresson), vecchio conoscente divenuto piccolo delinquente di periferia, a fare il salto di qualità e tentare una rapina in banca. Per perfezionare il mefistofelico piano, Max non si fa scrupolo a circuire Lily (Romy Schneider), prostituta e fidanzata di Abel, spacciandosi per banchiere di una piccola ma ben fornita agenzia della Villette (quartiere reso opulento dal mercato della carne).



I criminali da strapazzo ci cascano in pieno e progettano il colpo all'oscuro dell'agguato che il commissario sta tendendo loro. I malviventi sono troppo ingenui e Max troppo scaltro perché la partita non vada a finire nel modo previsto. Ma anche il più scafato e disilluso dei flic ha i suoi punti deboli: recitando il ruolo di Felix il banchiere che manipola la prostituta Lily, Max finisce per restare intrappolato nella propria trappola. Il commissario freddo e cinico, ironia della sorte, si infatua di Lily e inizia a preoccuparsi per lei, donna sfacciatamente candida nel suo prevedibile e vistoso opportunismo.



Anche qui, come in "Série noire" di Alain Corneau, le tensioni dostoevskiane innervano i rapporti psicologici, ma sottoposte ad un'agghiacciante radicalizzazione: il commissario Pelissier non solo condivide la forma mentis dei delinquenti che combatte, ma diventa a tutti gli effetti il loro mandante occulto, diventando la causa di quell'effetto che la polizia dovrebbe sconfiggere. Splendida perversità: un poliziotto che spinge i criminali a delinquere per poterli cogliere in flagrante. Mai figura di flic è stata tanto esatta nel rappresentare il senso d'impotenza della Legge che, incapace di vedersi debole, si incattivisce in delirio d'onnipotenza, fregandosene apertamente della deontologia. Un vero e proprio saggio sulla degenerazione dell'autorità in autoritarismo.



Ma alla tensione dostoevskiana si aggiunge una componente scardinante che mi ha ricordato gli inceppamenti narrativi di Dürrenmatt: la macchina logica perfetta che viene bloccata dal granello d'irrazionale che si insinua nei suoi ingranaggi, qui rappresentata non dal caso ma da una donna. Sautet gira con uno stile apparentemente anonimo, ma incredibilmente attento ai valori cinematografici delle situazioni: primi piani in grande quantità, montaggio che predilige le aperture di sequenza con inquadrature ravvicinate e una grande precisione nell'iscrivere i corpi negli spazi, con frequenti effetti di quadro nel quadro e riprese attraverso vetri appannati. Senz'altro non un prodigio dal punto di vista stilistico, ma l'innegabile sensibilità nel tratteggio dei personaggi e l'impressionante intensità della psicologia del protagonista (Piccoli è di una bravura imbarazzante) rendono "Il commissario Pelissier" un polar assolutamente imprescindibile.

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