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Il commissario

Regia di Luigi Comencini vedi scheda film

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La recensione su Il commissario

di lamettrie
7 stelle

Un bel giallo all’italiana, anche se con alcune pecche. Di buono ha il lato della commedia all’italiana: la denuncia, sotto i baffi divertente, dei mali della società tricolore. Qui sono tanti: in particolare, la burocrazia e la politica, tanto ciarliera quanto disonesta e insabbiatrice. La coloritura particolarmente “mediterranea” data ai vari burocrati italiani che qui si avvicendano, è tanto realistica quanto simpatica. Sordi riesce in una delle sue maschere più riuscite: quella dell’integerrimo serio servitore dello stato, che però viene punito proprio per la sua serietà. Il messaggio è chiaro: solo se si fa il proprio dovere con negligenza, quando ciò viene richiesto per interesse dai superiori, si può fare carriera; il rispetto integrale della deontologia non può che arrecare danni alla carriera.

Di buono c’è anche il ritmo, il polso di Comencini in regia, il registro noir ben alternato con i tanti momenti thriller della sceneggiatura di Age e Scarpelli, la grande interpretazione di Sordi al solito, l’ottima recitazione corale, la colonna sonora di Rustichelli.

Ma ci sono anche le ombre, due. La prima è la complicazione della trama, eccessiva anche per un giallo, e comunque non ben dosata. Ma la seconda è grave, e ha fato scendere da 8 a 7 il mio voto: il finale. Non ha senso che Sordi rovini la sua carriera per evitare di far condannare quello che lui crede un innocente in quel caso (e che aveva fior di precedenti penali). Non ha senso perché il film non mostra che lui può avere tutte le prove per quel suo clamoroso gesto in tribunale, che poi gli costerà la crescita professionale cui mostrava prima di tenere così tanto. Una percezione personale che prevale sul proprio importantissimo interesse privato, che pure sin lì era stato curato con scrupolo pieno: non è credibile una tale caduta della sceneggiatura. Lo si può leggere solo per quello che era l’Italia di oltre 50 anni fa: ancora largamente cattolica, fatta in gran parte di un pubblico che (con la retorica dell’apparenza) poteva apprezzare gli slanci morali di un protagonista che ciononostante passava per un perdente agli occhi del mondo, proprio per quel gesto di coerenza interiore.

Ma la sua statura di perdente, cercata in modo assolutamente non necessario, fa infatti a pugni, poi, con la prima reazione che si vede di Sordi: va a cercare e menare colui che l’ha aiutato, perché quell’aiuto (ma deliberatamente scelto, ed evitabilissimo!) gli ha rovinato la vita lavorativa tutta.

Gli ultimi sgoccioli del film, poi, confermano questa caduta: Sordi finisce nel conformismo impiegatizio più limitato, per quieto vivere, perché non può più far il lavoro per cui aveva lottato alla grande, mostrando di valerlo. E tutto per un errore suo. Un perdente che si riscatta (ma in realtà non si riscatta, poiché peggiora la sua posizione) con l’ordinario sciatto: un classico del pecorone italiano. Sarà il guizzo critico amaro della commedia all’italiana; ma a me questa pare più che un altro una trovata infelice, di un film che comunque mantiene un suo fascino anche oggi.

 

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