Regia di Claude Chabrol vedi scheda film
Con il suo quarto lungometraggio, Claude Chabrol compie secondo me un passo falso. Forse è un giudizio un po’ affrettato, ma non posso dire che il film mi abbia coinvolto. Si racconta di quattro commesse in un negozio di elettrodomestici a Parigi alla fine degli anni ’50. Buona ambientazione, ottimo bianco e nero, ma non succede quasi niente. Maschi che tentano di rimorchiare femmine, bistrots, locali notturni e lunghe serate che terminano solitamente con un nulla di fatto. Le quattro ragazze vivono gomito a gomito, sono colleghe e superficialmente amiche. Nel finale, si assiste ad un evento che avrebbe potuto essere l’incipit di un interessante film dello stesso Chabrol, del genere “Le boucher” (1970) o “Les fantômes du chapelier” (1982). Siamo però fuori tempo massimo e lo spettatore resta a bocca asciutta al termine di una pellicola che non è mai decollata. Le quattro protagoniste, a dire il vero, sono spontanee e non sfigurano (in particolare Bernadette Lafont e Stéphane Audran, futura moglie del regista), sono sorrette da dialoghi vivaci e naturali, ma non riescono a risollevare un copione esangue. Nel negozio in cui lavorano, sono affiancate da Ave Ninchi nel ruolo della cassiera di evidenti origini italiane. Una piccola parte interpretata con humour ed eleganza. I personaggi maschili, invece, sono grotteschi e a tratti insopportabili. Battute grevi, clichés e luoghi comuni a iosa. Peccato. Sono un fervente ammiratore del cinema di Claude Chabrol, ma questa è proprio una buccia di banana, accostabile ad un’altra sbandata realizzata quasi trent’anni dopo, “Jours tranquilles à Clichy” (1990), un film più o meno erotico e caduto comprensibilmente nell’oblìo. Anche agli autori più geniali può accadere di inciampare. Incomprensibile il divieto ai minori di 18 anni e assurda la traduzione italiana del titolo: in francese, “bonne femme” significa donna qualunque, tizia o caia, certamente non “donna facile”...
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