Regia di Grigoriy Kozintsev, Leonid Trauberg vedi scheda film
Il film
Tratto dai racconti Il cappotto e La prospettiva Nevskij di Gogol, il film ( una personale rilettura delle intense pagine del grande scrittore russo) si colloca a pieno titolo nell’ambito di quell’avanguardia sovietica di inizio novecento espressa soprattutto dalla corrente FEKS (Fabbrica dell’attore eccentrico).
La regia comunque attinge a piene mani pure dal formalismo (del quale il film diventerà una specie di tardivo manifesto) ma non è esente nemmeno dall’influsso di esperienze più strettamente legate all’espressionismo tedesco (stilizzazione, deformazione espressiva, etc. etc.).
La tematica centrale dell’opera è una satira (molto corrosiva) a quella burocrazia disumana e “militarizzata” nella rigidità della sua struttura, del post rivoluzione d’ottobre e il suo interesse principale sta proprio nella sceneggiatura (scritta da Jurij Tyniacov, uno dei più importanti esponenti del formalismo russo) poiché il merito di questo singolare ripensamento elaborato secondo i dettami sperimentali del periodo, va ascritto soprattutto a lui (anche se in buona parte ispirato dal celebre saggio “Come è fatto Il cappotto di Gogol che nel 1919 Boris Ejchenbaum - a sua volta esponente di punta del formalismo – aveva dedicato all’analisi critica della struttura del racconto gogoliano e che in poche partole si può sintetizzare così: “lo stile del grottesco esige che la situazione o l’avvenimento descritto, siano chiusi in un mondo di emozioni artificiali”, che Gogol – e in particolare in questo suo racconto, porta alle estreme conseguenze, il che è indubbiamente un pregio, ma al tempo stesso anche un limite che coinvolge entrambi i racconti fra loro intersecati.
In perfetta sintonia stilistica e ideologica con questo assunto (e pur tenendo conto delle rigide regole imposte dall’eccentrismo che non vengono assolutamente rinnegate) si sono dunque mossi con adeguata perizia e perspicacia, Kozin?ev e Trauberg (che la storia del cinema ha definito giustamente come “i due registi che sono stati i primi a realizzare in URSS un film in maniera stilizzata – in apparenza convenzionale ma fortemente innovativo invece nella sostanza - proprio in virtù della fortissima carica grottesca, esasperata fino alle estreme conseguenze, che pervade tutta la pellicola”).
I meriti formali sono davvero molti: notevolissime le scenografie (irreali e inquietanti) immaginate e costruite ad hoc da Evgenij Enej (peraltro ben fotografate da Andej Moskvin e Evgenij Michajlov)che riescono già da sole a dare vita a un mondo di ombre molto contrastate dove a prevalere sono i bianchi e i neri, perfetti per evocare (e farci entrare dentro anche lo spettatore) la giusta atmosfera di questa gogoliana “tragedia ridicola” in cui il cappotto diventa un vero e proprio personaggio davvero fondamentale (e quasi metafisico) che trova ampio spazio (autonomo) nella dinamica della storia.
Fra i due responsabili della fotografia una menzione speciale va comunque fatta proprio per Andej Moskvin, un operatore di grande sensibilità che, in quanto responsabile anche dell’illuminazione, ha fornito, più del suo collega, un prezioso materiale visivo assai elaborato fatto di inquadrature sghembe spesso in controluce, violenti contrasti, sfocature e flou.
Il problema formal-sperimentale (definito così da Sergej Nikolaevi? Lebedev) è stato insomma risolto egregiamente e ci conduce dritti a valutare in maniera molto positiva la riuscita dell’opera, sia per l’abilità dei due registi che per il contributo primario di un sistema illuminotecnico mistico e romantico allo stesso tempo (realizzato da un operatore di grande sensibilità quale è stato Andrej Moskvin) che dà all’insieme l’aura di un racconto morale sospeso fa realtà e favola. Un altro con tributo tutt’altro che secondario, arriva poi dalla recitazione bizzarra e fantasiosa degli attori (Andrej Kostri?kin, Antonina Eremejeva, Emil Gal e Sergej Gerasimov in primis).
Un film insomma da vedere e da riscoprire.
La storia
Un giovane impiegato ministeriale, incontra sulla prospettiva Nevskij una dama bellissima. La segue furtivamente, ma, alla fine, la perde di vista. Da quel giorno, oppresso da una vita noiosa, grigia e senza stimoli (abita da solo in un appartamento miserrimo dove tracina la sua solitaria esistenza da scapolo priva di amicizie) l’uomo penserà solo a quella donna che a lui è apparsa come una “creatura celeste” , una figura nella quale incarna la sua idea di felicità. Ma questo suo idealismo si sgretola e svanisce quando l’oggetto del suo amore si rivela per quel che è: una cameriera volgare e corrotta.
Totalmente disilluso da quella scoperta l’uomo ritornerà sconsolato al suo tran tran quotidiano sia in casa che su quel suo monotono lavoro di scrivano .
I suoi anni trascorrono così veloci e senza guizzi riempiendo fogli e fogli con la sua scrittura ordinata senza nemmeno accorgersi che i suoi capelli diventano sempre più grigi e il suo cappotto sempre più liso e rattoppato.
A un certo punto però l’uomo ormai non più giovane e sempre più spento, prenderà la decisione storica di comprarsi un cappotto nuovo e basterà questo a risvegliarlo dal torpore e a far tornare nella sua vita la speranza.
Una sera i suoi colleghi lo invitano a un thè. L’uomo accetta l’invito e raggiunge i suoi colleghi indossando il cappotto nuovo. Tornando a casa a notte inoltrata, viene assalito da un gruppo di rapinatori che gli strappano di dosso il prezioso indumento.
Invano l’uomo derubato del suo bene più prezioso va a chiedere giustizia bussando alle porte dei sui superiori ma nessuno lo aiuta. Tutti invece lo irridono e lo prendono in giro per la sventura che gli è capitata.
Tornato sconsolato a casa, la notte è assalito da orribili incubi che hanno al centro il bel cappotto che gli è stato rubato e al mattino… (non aggiungo altro anche se credo che a questo punto, il resto sia abbastanza prevedibile).
La regia[1]
La figura di Grigorij Kozin?ev (1905-1973) è inscindibile da quella di Leonid Trauberg[2] e non solo perché avevano fondato insieme la corrente avanguardista FEKS. Ci fu infatti fra i due una proficua e lunga collaborazione che li portò a realizzare insieme molte pellicole dirette a quattro mani iniziata nel 1924 proprio con la realizzazione di Pochozdenija Oktiabriny in italiano Le avventure di Ottobrina (si dice che fosse un’opera satirica carica di trucchi eccentrici e che sia stata considerata a tutti gli effetti il manifesto cinematografico di quella corrente innovativa ma è purtroppo un’opera che è andata perduta e quindi dobbiamo accontentarci del sentito dire) che segnò in positivo tutta la parte iniziale della carriera cinematografica del regista.
Fra i due c’era una forte affinità di intenti dovuta anche a un percorso formativo che aveva avuto molti punti di contatto: entrambi venivano da un intenso periodo di attività in campo teatrale, e insieme avevano trascorso anche alcuni anni all’estero interamente finanziato dallo stato che permise loro di conoscere e studiare dal vivo il cinema europeo dell’epoca e di poter così respirare l’atmosfera intellettuale e decadente sia tedesca che francese del primo dopoguerra del secolo scorso.
Sarà proprio al loro ritorno in patria che i due decideranno di mettere a frutto gli stimoli che avevano ricevuto dal loro soggiorno nei paesi dell’Europa che li portò a fare una fattiva esperienza nell’ambito dell’avanguardia formalistica e successivamente a dare vita insieme a Sergej Jutkevic[3] (correva l’anno 1922) proprio a quel gruppo FEKS a cui ho accennato prima, un movimento originariamente solo teatrale, che si proponeva di sconvolgere le tradizionali forme di rappresentazione e recitazione inserendoci dentro gli elementi dinamici del cinema e del music-hall.
Fu un breve periodo molto creativo del quale conosciamo molto poco poichè ben presto sentirono il bisogno di esplorare altre strade. E sarà proprio Il cappotto (Schinel) del 1926 a segnare il distacco dei due registi dalle posizioni futuriste alle quali avevano aderito con entusiasmo per avvicinarsi invece alla scuola di Leningrado (e conseguentemente a una nuova, differente modalità espositiva della quale il film è un ottimo esempio).
Sulla stessa linea di ricerca espressiva, si collocherà anche La nuova Babilonia (Novyi Vavilon) del 1928, una ricostruzione degli avvenimenti della “Comune” di Parigi” realizzata lavorando soprattutto sul ritmo del montaggio e la stilizzazione della recitazione.
La crisi degli anni ’30 e il conseguente avvento del realismo socialista, porterà Kozin?ev e Trauberg ad abbandonare definitivamente il manifesto FEKS che manteneva ancora piccole tracce nel loro cinema e a sollecitare in loro la necessità di approdare a uno stile di rappresentazione più meditato che potesse continuare a mantenere attivi molti dettami della nuova scuola del realismo ma con un’attenzione particolare verso la tendenza già felicemente sperimentata riguardante l’uso del montaggio privilegiandone l’uso per trasformarlo nello “specifico filmico” , indiscusso e fondamentale strumento della settima arte da utilizzare come una autonoma forma creativa ed espressiva sa utilizzare in senso narrativo.
L’opera più rilevante di questa nuova fase operativa è la trilogia di Massimo (1934-1938) e più esattamente le tre parti che compongono l’insieme: La giovinezza di Massimo (Yunost Maksima), Il ritorno di Massimo (Vozvraš?enie Maxima) e Il quartiere di Vyborg (Vyborgskaja Storona) che ne fanno un film di ampissimo respiro imperniato sulla figura di un giovane rivoluzionario bolscevico.
Separatosi dopo la guerra da Trauberg, e dopo un lungo, travagliato e oscuro periodo in cui subì una forte repressione politica, Kozin?ev tornerà clamorosamente alla ribalta solo nel 1957 e ci regalerà ben tre capolavori: Le avventure di Don Chisciotte (Don Kichot) del 1957 appunto, Amleto (Gambler) del 1964 e Re Lear (Karol Lir) che nel 1969 concluderà magnificamente la sua carriera artistica tre anni prima della sua dipartita.
Nota a margine
Sulla base del solo racconto Il cappotto (questa volta sceneggiato da Luigi Malerba, Alberto Lattuada e Cesare Zavattini, lo stesso Lattuada nel 1952 realizzò un altro ottimo prodotto con molte variazioni soprattutto per quanto riguarda la datazione (posticipata agli anni ’30 del secolo scorso) e l’ambientazione spostata in Italia, e più precisamente nella città di Asti. Ne fu straordinario interprete dolente e spento, un Renato Rascel mai più così bravo che qui raggiunse vette di assoluta eccellenza recitativa.
[1] Parlo soprattutto di Kozin?ev che fra i due credo sia la figura più importante e della quale conosco anche l’evoluzione successiva e posso di conseguenza valutare nel suo insieme e con assoluta cognizione di causa tutto il suo percorso artistico .A Trauberg dedico invece solo poche righe poiché per me è molto difficile esprimere un giudizio sulla sua figura di artista poiché non ho mai avuto il piacere di visionare le sue poche opere dirette in solitaria.
[2] Leonid Trauberg (1902-1990) terminata nel 1938 la sua collaborazione con Kozin?ev , ebbe successivamente una vita molto travagliata. Vessato dalla censura politica, nel 1949 fu addirittura allontanato dagli studi cinematografici, e questo a causa del suo “cosmopolitismo” inteso come mancato allineamento “ideologico” alla corrente del realismo socialista. Costretto per diversi anni ad occuparsi solo di sceneggiature, verrà riabilitato solo nel periodo detto del disgelo. Riuscirà anche a tornare attivo nella regia nel 1958, anno in cui gli fu possibile girare (producendoselo da solo) Soldati in marcia (Šli soldary) un film comunque molto inferiore come valore artistico a quelli da lui girati in collaborazione con Kozin?ev. Sappiamo che fra il 1960 e il 1963 diresse altre tre pellicole che non credo però siano mai arrivate qui da noi in Italia. Pochissimo o niente conosciamo anche di quello che ha fatto nei 30 anni successivi che sono quelli che lo separano dal 1990 anno della sua dipartita.
[3] Sergej Jutkevic (1904-1985) che su questo sito (Film tv) è presente però come Sergei Yutkevic, ha avuto una formazione artistica di tipo avanguardistico (come abbiamo già visto, fu anche lui fra i fondatori del gruppo FEKS).
Attivo sin dall'epoca del muto nel campo dell’arte, partì dalla pittura e dalle arti figurative prima di approdare al cinema. Molto sensibile ai cambiamenti così frequenti nell’Unione Sovietica di quel periodo, da cineasta affrontò in modo molto personale il delicato passaggio dalle ricerche dell'avanguardia degli anni Venti ai dettami estetico-ideologici del realismo socialista . Non abbandonò comunque mai l'impegno per una continua e appassionata rielaborazione teorica e pratica del linguaggio filmico .
Il suo tirocinio formativo lo aveva fatto nel teatro in qualità di attore, scenografo e regista, prestando la sua opera nell’ambito del teatro delle marionette, nel teatro “ eccentrico” di Foregher e in quello chansonnieres.
Al cinema portò dunque tutta la messe di esperienze che aveva acquisito operando sulle assi del palcoscenico arricchendole però con le sue parallele ricerche teoriche proprio sul montaggio cinematografico (anche in contrapposizione a Ejzenštejn del quale era stato allievo).
Il suo primo fattivo contributo in questo settore, risale al 1928 anno in cui riuscì a dirigere in qualità di regista Merletti (Kruževa) un film molto curato sotto l’aspetto formale realizzato ancora secondo le posizioni oltranziste del FEKS.
L’avvento dello stalinismo nella politica e del realismo socialista nell’estetica e nella concezione della vita, danneggiarono pesantemente pure lui, costringendolo a una repentina virata verso quella corrente e a un ripensamento generale (anche critico) di tutta la sua precedente opera che si concluse con l’accettazione di alcuni canoni propri del realismo, sia pure rivisitati e riprodotti con una forma espressiva più dinamica e originale.
Nel 1932 girerà, con la collaborazione di Friedrich Ermilr, Contropiano (Vestre?nij) uno dei titoli più importanti e significativi della sua filmografia, un’opera a suo modo rivoluzionaria, in totale rotta di collisione con il cosiddetto “virtuosismo ritmico” e l’avanguardia in generale. Un film che giocava le sue carte sullo sviluppo dei conflitti drammatici e sull’umanità dei personaggi (elementi tipici del realismo appunto, tanto che l’opera diventò quasi il manifesto programmatico di quella corrente.
Le sue opere successive però si allontanarono molto da quella modalità di rappresentazione poiché il regista (come si è già visto) aderì prontamente ai dettami estetico-ideologici del realismo socialista, e fu proprio questa metamorfosi a fargli guadagnare molti dei premi prestigiosi che gli vennero assegnati in patria (fra i quali il Premio di Stato conferitogli sia nel 1940 per il film Jakov Sverdlov che nel 1947 per il documentario Molodost’ našej strany).
Tutte le sue opere successive nacquero e si svilupparono all’insegna dell’ufficialità e della celebrazione. Due in particolare (molto apprezzate in URSS) gli garantirono anche la celebrità internazionale e mi riferisco a Otello il moro di Venezia col quale vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes del 1956 e Lenin in Polonia passato anch’esso da Cannes dove si aggiudico il premio per la migliore regia.
Buon ultimo, acquisì un altro riconoscimento molto importante: il Leone d’oro alla carriera assegnatogli a Venezia nel 1982.
Ben più interessante dei due titoli premiati a Cannes è però Il bagno (Banja) del 1962 felice tentativo di realizzare un film di marionette tratto da Majakovskij.
Per saperne di più http://www.treccani.it/enciclopedia/sergej-iosifovic-jutkevic_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/
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