Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
Punto di non ritorno della cinematografia viscontiana, Ludwig è la seconda parte del testamento artistico del regista-conte. Della terna di film-summa aperta da Morte a Venezia e chiusa da Gruppo di famiglia in un interno, Ludwig è il capitolo più indirettamente autobiografico rispetto agli altri due, più smaccati e plateali nell’identificazione dell’autore col personaggio principale. Tuttavia non si dovrebbe giudicare un’opera d’arte in relazione alla biografia dell’autore e il giudizio sul film in sé deve essere necessariamente e il più possibile oggettivo.
Il protagonista è in ogni caso un carattere larger than life, adattissimo alla fase estrema del cinema di Visconti, votato alla rappresentazione della decadenza di un mondo, di una storia, di una visione. Ludwig, regnante rinascimentale salito al trono al tramonto del suo mondo d’origine, è il re dei disadattati, la persona sbagliata nel posto sbagliato, un ragazzo devastato dal suo ineluttabile destino.
Visconti lo rappresenta in una parabola di discesa agli inferi della carne debole e degli intrighi di palazzo, ponendolo al centro di un discorso sull’impossibilità della fuga e della redenzione se non col sacrificio. Personaggio controverso, amato deriso detestato, Ludwig è l’oggetto di una sorta di inchiesta in cui intervengono i suoi ministri e collaboratori, tutti traditori (tra cui un finissimo Umberto Orsini), che si rivolgono in prima persona allo spettatore (unico giudice della storia e della Storia) nell’intenzione di tracciare un ritratto quantomeno fosco delle gesta del sovrano.
Al di là della degenerazione trionfante nella seconda parte, il film è in fondo il racconto di una manciata di amori impossibili del disastrato Ludwig: quello con l’idea di un regno votato all’arte e alla bellezza; quello che lo lega alla musica dell’opportunista e subdolo Richard Wagner (Trevor Howard; la sua amante è Silvana Mangano); quello mai nato con la promessa sposa mai amata neppure per un secondo (Sonia Petrovna); e soprattutto quello malato e tormentato nei confronti della cugina Sissi (in un caso quasi unico di ritorno sul luogo del delitto, la stupenda Romy Schneider ripropone il suo personaggio-mito, ma in una veste meno angelicata e più inquietante).
Film più melodrammatico che politico (il giudizio sull’operato di Ludwig sta allo spettatore, quello sugli affetti e sulle passioni non può compiersi perché ingiudicabili), è un fluviale (più di quattro ore) romanzone intimista en plein air interessantissimo per la sua capacità di mantenere alto il ritmo dello spettacolo nonostante l’infinita durata, per l’armonia e il gusto del racconto popolare in una tragedia di palazzo (e il merito è soprattutto di Suso Cecchi D’Amico ed Enrico Medioli) e per lo splendore squisitamente figurativo (fotografia di Armando Nannuzzi, scene di Mario Chiari, costumi di Piero Tosi nominati agli Oscar). Helmut Berger nel ruolo della vita, naturalmente.
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