Regia di Aaron Sorkin vedi scheda film
Oggi recensiamo il bellissimo Il processo ai Chicago 7 (The Trial of the Chicago 7).
Film della durata molto appassionante e coinvolgente di due ore e sette minuti circa, distribuito da Netflix lo scorso, recente 16 Ottobre. Firmato, anzi scritto e diretto prodigiosamente da un Aaron Sorkin davvero molto ispirato.
Aaron Sorkin, signore e signori, un egregio signore distintissimo, classe ‘61, oramai certamente classificabile come navigato, sempre più provetto uomo di Cinema dotato di rara cultura, finezza e sofisticatezza che, dopo i suoi meravigliosi, celebrati script acclamati de La guerra di Charlie Wison, del suo oscarizzato, fincheriano The Social Network, de L’arte di vincere e dopo il suo apprezzato esordio dietro la macchina da presa avvenuto con Molly’s Game, alla sua opus n.2 come regista avvalsosi d’un suo stesso screenplay, come direbbero gli americani, dimostra una notevole mano sicura.
Mettendo in scena un film dall’andatura energica e grintosa che, a mo’ di legal thriller alla John Grisham, si trasforma in un dinamico kammerspiel, sì, una sorta di teatro di scena cinematografico, essendo quasi completamente ambientato in un’aula giudiziaria convulsamente frenetica e movimentata da scambi di battute e dialoghi ficcanti, anche se sinceramente non tutti perfetti, comunque dalla secchezza tagliente spesso pari a un’incisiva rasoiata pungente, che vivamente coinvolge e tiene incollati allo schermo dalla prima all’ultima, funambolica inquadratura.
Districandosi con ottimo senso della misura, del ritmo e del timing, cioè della tempistica, per l’appunto, di attori in grande spolvero che gustosamente recitano con brio e forte partecipazione emotiva le loro caustiche lines.
Ma arriviamo alla trama, assai semplice ma, ripetiamo, mai noiosa...
basato su eventi realmente accaduti, leggermente e ovviamente romanzati date le esigenze diegetiche della Settima Arte in linea col coinvolgimento emotivo da trasmettere allo spettatore, il film, come da titolo, racconta del processo a danno (ingiusto?) dei Chicago Seven, ovvero sette attivisti pacifisti, capeggiati dal temerario, sbruffone e un po’ incosciente Abbie Hoffman (un grande Sacha Baron Cohen), che si schierarono apertamente contro la guerra del Vietnam e furono accusati di cospirazione.
A sostenerli nella loro dura, agguerrita battaglia per la libertà, v’è l’avvocato difensore William Kunstler (Mark Rylance), a sua volta contrattaccato ovviamente dalla controparte accusatrice, personificata dal giovane ma già scaltrissimo Richard Schultz (Joseph Gordon-Levitt).
Mentre il giudice dell’epica disfida, Julius, dall’identico cognome dell’Hoffman/Cohen accusato, vegliardo, intransigente, forsanche un po’ suonato, assomigliante spesso al judge Fred Gwynne di Mio cugino Vincenzo, è incarnato dal sempre straordinario Frank Langella.
Fra le due parti litiganti, come si suol dire, spunta anche lo scomodo ma forse risolutivo Ramsey Clark (Michael Keaton).
Il processo ai Chicago 7 è uno dei più bei film dell’anno e state sicuri che, ai prossimi Oscar, farà incetta di nomination.
di Stefano Falotico
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