Regia di John Liang vedi scheda film
Opera d'esordio realizzata nello standard del classico contesto claustrofobico, con protagonisti intrappolati un una struttura di riabilitazione, isolata a causa di avverse condizioni climatiche. Privilegiando l'aspetto psicologico, il regista compone un thriller non banale, forte di attrici particolarmente calate nei ruoli.
Ronnie (Stephanie Pearson), veterana di guerra in Afghanistan, soffre di sintomi post bellici. Viene inviata a Longview, un isolato centro di recupero femminile, lontano da centri abitati, dove sono assistite ragazze tossicodipendenti in una struttura che pratica terapia di gruppo, sotto la direzione della dottoressa Jessica Barnes (Hope Quattrocki). L'arrivo di Ronnie coincide con quello di altre pazienti mentre la permanenza, già dalle prime ore, si fa difficile dato l'animoso carattere delle tormentate ragazze. Quando viene rinvenuto il cadavere di Beth (Andi Rene Christensen), apparentemente vittima di un'aggressione, i sospetti ricadono proprio su Ronnie. Nel frattempo le condizioni climatiche, causa di un'abbondante nevicata, impongono alla struttura l'isolamento. La polizia potrà portare soccorso forse solo il giorno seguente, mentre una mano omicida continua a mietere vittime, anche tra il personale medico.
Dopo una lunga gavetta nella realizzazione di corti, John Liang, supportato in sceneggiatura da Scott Rashap, esordisce nel lungometraggio con questo adrenalinico thriller, tutto avvicendato all'interno della classica struttura, diventata improvvisamente una trappola. Puntando ad un film psicologico e particolarmente drammatico, pur se per nulla originale (a proposito di veterani di guerra Rambo, ad esempio, era del 1982), Liang cura le psicologie dei personaggi rendendole drammaticamente realistiche e facendo attenzione a non trascurare nemmeno i personaggi di contorno (ad esempio l'impaurita Katherine).
Evitando lo spargimento gratuito di sangue, il regista prosegue creando un clima di angosciante (e realistico) terrore, evocato dalle azioni implacabili delle "mani omicida". Benché il twist (non troppo inatteso) arrivi relativamente presto, Recovery finisce per essere un film molto ben costruito, prevedibile forse, ma capace di assolvere egregiamente al ruolo di intrattenimento. Non senza farsi mancare anche qualche importante messaggio, che va ben oltre alle dinamiche evasive di un semplice thriller.
"Il soldato prega più di tutti gli altri per la pace, perché è lui che deve patire e portare le ferite e le cicatrici più profonde della guerra." (Douglas Macarthur)
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