Regia di Florestano Vancini vedi scheda film
Florestano Vancini è stato un buon artigiano della macchina da presa ed ha spesso saputo darci opere in equilibrio tra la denuncia sociale e la spettacolarità cinematografica. Secondo alcuni in questo film ha prevalso il secondo aspetto, ma, a parer mio, siamo nell'ambito di un discreto prodotto d'impegno, realizzato grazie all'apporto di validissimi professionisti. Forse è vero che il copione prevede, più che veri personaggi, semplici funzioni narrative, affidate ad interpreti di valore affinché le riempissero di contenuti "umani" ed è pur vero che la procedura penale italiana (soprattutto prima della riforma entrata in vigore nel 1989) non si presta alla spettacolarizzazione come quella americana, ma la messinscena è più che decorosa, la narrazione serrata, gli assolo intonati e i fatti raccontati, purtroppo, sono piuttosto credibili. Gli interpreti ci aggiungono del loro, dal pubblico ministero appassionato di Enrico Maria Salerno all'istrionico avvocato difensore Gastone Moschin, dal boss sbruffone Mario Adorf a quello gelido di Georges Wilson. Ma tra gli attori si segnalano due comprimari della vicenda, cioè un Ciccio Ingrassia per la prima volta e più che credibilmente in un ruolo drammatico e Guido Leontini, uno che di questo genere cinematografico è stato un piccolo pilastro e che forse avrebbe meritato più spazio: qui, in ogni caso è bravissimo a tratteggiare il personaggio di una delle tante vittime/carnefici di cui è costellata la storia infame della mafia.
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