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La violenza: quinto potere

Regia di Florestano Vancini vedi scheda film

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La recensione su La violenza: quinto potere

di Furetto60
8 stelle

Ottimo film di Florestano Vancini, ispirato al dramma giudiziario scritto da Giuseppe Fava.

 Storia ambientata in Sicilia,negli anni settanta,frutto di fantasia. C’è in ballo un affare molto appetibile , la costruzione di una diga, cui il gruppo del costruttore Amedeo Barresi, aspira ad assicurarsene l'appalto e osteggiata invece, dalla organizzazione che è riunita sotto l'ingegner Crupi, un ricco proprietario terriero, che in seguito alla esecuzione del progetto, vedrebbe i suoi agrumeti, danneggiati dalla realizzazione dell'invaso. Questa diatriba darà il via ad una sanguinosa faida tra le due cosche contrapposte, che spalleggiano i relativi gruppi di potere, scatenando una lunga catena di delitti, viene perfino assassinato un sindaco antimafia. Dopo questa scia di omicidi ,in cui restano coinvolte anche persone innocenti, e dopo la conseguente sfilza di arresti, nell’aula del tribunale si celebra il processo “farsa” Dopo l’inutile interrogatorio degli imputati, che si riparano dietro una impenetrabile coltre di silenzio, subito dopo vengono ascoltati i testimoni, seguendo le loro deposizioni, si ricostruisce la trama della sanguinosa disputa, tra i due clan rivali, nei suoi molteplici risvolti e nella sua catena di vendette a cascata, nel frattempo fioccano denunce, ci sono corpi di reato, sottratti dagli archivi del tribunale, sparisce un testimone oculare, ci sono ritrattazioni, omertà e quant’altro, perfino la commissione antimafia subisce dei ricatti. In aula si assiste alla splendida requisitoria del P.M. Enrico Maria Salerno: “ La violenza, quinto potere nello Stato, che tutti gli altri riunisce e manovra e che tutti gli altri sottomette e corrompe! “ tanto suggestiva e incisiva, quanto inutile. I fantasiosi avvocati difensori, che usano surrettiziamente il codice penale, così da poter prosperare all’ombra della malavita organizzata, riescono a smantellare le imputazioni, peraltro anche mal sostenute, da prove evanescenti e recalcitranti testimonianze. Alla fine solo i pesci piccoli pagano, dei due unici imputati pronti a confessare, uno, l’indimenticabile Ciccio Ingrassia, viene convinto a suicidarsi in carcere, onde evitare ritorsioni sui familiari e l'altro viene spacciato per malato di mente, tutti gli altri, i veri responsabili, sono assolti, grazie alle amicizie che “contano” e cosi ingiustizia è fatta. Il film è tratto da un dramma giudiziario scritto per il teatro, dallo scrittore siciliano Giuseppe Fava giornalista assassinato nel 1984.La trasposizione cinematografica fu curata con maestria da Florestano Vancini e resta un ottimo esempio di film-denuncia, in tempi in cui si era solito dire, che la mafia non esisteva ed era solo un’invenzione giornalistica. La struttura narrativa, procede per "step", avvalendosi di numerosi flashback ,ma la parte topica del racconto si svolge nell’aula del tribunale, grazie ad un cast di attori straordinari, anche se il film è lungo e a tratti coriaceo, non stanca mai. Guardando questo lavoro che risale al 1972, lo spettatore, prova un doloroso e angosciante senso d’impotenza e di straniamento, di fronte allo spettacolo indecoroso, di una giustizia “malata”, corrotta e soprattutto vinta, dominata dal potere di una organizzazione criminale, talmente forte da farsi beffe dello Stato e della verità, addomesticandola ai propri loschi fini.La storia è inventata,tuttavia ci sono molti elementi realistici.

 

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