Regia di Jayro Bustamante vedi scheda film
Venezia 76. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Il cinema di impegno civile scaturisce dall'esigenza di affrontare e metabolizzare pagine dolorose della storia del proprio paese. Spesso si sceglie la strada più sobria di una ricostruzione lineare e chirurgica degli eventi, spesso si eccede nel comunicare l'indignazione all'interno degli schemi di un genere fortemente politico che cerca di dare risposte a domande troppo grandi. Lo scorso anno Alvaro Brechner (oggi in giuria in Orizzonti) aveva percorso l'arduo sentiero dell'ironia per raccontare "Una notte di 12 anni" vincendo brillantemente la sfida di rinvigorire un genere, finalmente, in ripresa. Quest'anno è la volta di Jayro Bustamante di affrontare i fantasmi del passato nel suo Guatemala che fu vittima della dittatura militare anti comunista alimentata dagli Usa nel periodo 82-83. Efrain Rios Montt fu il protagonista di una mattanza senza precedenti. Non fu mai condannato e morì nel 2018 impunito nonostante l'imputazione di genocidio. Bustamante prende spunto. Cambia i nomi e riadatta alcuni elementi ma racconta quell'uomo ed i giorni successivi al processo. E come l'uruguaiano Brechner, anche Bustamante cerca la sua strada imponendo ad un genere fortemente codificato il suo stile personale che fonde tecnica ed eleganza di macchina con l'inserimento di una componente metafisica e spirituale, vero azzardo in un racconto politicamente impegnato. La scelta stilistica funziona ed il nuovo lavoro del prolifico Jayro Bustamante, "La llorona", presentato nella sezione "Giornate degli autori", è la quintessenza del talento che molti gli hanno riconosciuto in passato. Dal punto di vista tecnico il film è ben costruito con piani sequenza sviluppati su immagini statiche alternate a lentissimi zoom in e zoom out che focalizzano l'attenzione sui particolari piuttosto che sull'insieme. L'utilizzo della diagonale è frequente e la casa del "generale", ove le armi sono in bell'ordine nella rastrelliera e le stanze in perfetto ordine, oscurate dalle luci filtrate dalle tendine, assumono il rigore di una caserma. Assediato in compagnia dei famigliari e dei domestici dopo la sentenza della Corte Costituzionale che annulla quella di condanna per "genocidio", il dittatore deve fare i conti con una folla inferocita di indigeni maya che protesta contro la decisione, che ne garantisce l'impunità. Ma non ci sono solo i dimostranti che assediano il palazzo. Nella casa serpeggia un flebile e contagioso senso di disagio mentre le immagini spesso riproducono, all'interno dell'inquadratura, un artificioso formato 4/3 che si delinea grazie ad elementi di cornice che riducono lo spazio visivo. Così un'inquadratura della stanza di servizio viene ulteriormente ridotta grazie ai drappi svolazzanti ai lati, e gli elementi di una stanza in cui sono concentrati i protagonisti vengono rinchiusi nello spazio sagomato dagli stipiti di una porta aperta. Sono tratti distintivi di una scelta che efficacemente riproduce tutto il senso di claustrofobica reclusione nella casa infestata di voci e pianti sovrannaturali. Un ambiente circoscritto, la clausura imposta dalle circostanze, la tensione emotiva ed i dubbi che attanagliano gli abitanti e gli ospiti della casa sulla veridicità della sentenza e della contro sentenza inducono tutti ad una forma di isteria allucinata.
Il generale è stato veramente il macellaio che ha provocato migliaia di desaparecidos e il massacro di oltre un terzo dell'etnia Maya Ixyl? La moglie e la figlia conoscono la vera essenza dell'uomo che vive con loro? O le allucinazioni, che prima colpiscono l'uomo e poi il resto della casa, sono l'effetto di una muffa che, annidatasi nei muri della stanza padronale, ha contaminato le menti fragili del militare e della moglie? Fondamentale il ruolo della decana di famiglia costretta dalle circostanze ad una approfondita riflessione sul proprio ruolo di donna, moglie e madre in un regime di uomini. Una donna che ha taciuto, certamente per convenienza, forse per amore, le palesi infedeltà del marito, mentre i massacri ritornano alla mente ottenebrata dall'incubo in immagini simboliche ma limpide, proprio nel momento in cui la ragione è sull'orlo del collasso.
Mescolando elementi onirici e sovrannaturali per approntare un analisi psicologica che scava e sgretola quanto la muffa che, ampficata dallo stress, logora ogni raziocinio, il regista costringe ogni personaggio a rivedere le proprie austere posizioni e a fare i conti con la propria coscienza. Bustamante regala immagini eleganti, tensione crescente, riprese subacquee suggestive a metà strada tra Del Toro e Kim Ki-Duk, misticismo precolombiano e una raffinata e surreale vendetta tramutando l'incubo in realtà e viceversa. I sogni si sovrappongo al reale lasciando scoperte parti sensibili di una coscienza atrofizzata che non è solo quella di una famiglia, bensì di un intero popolo. Finale splendido in un cesso allagato. Si può fuggire alla giustizia terrena ma non si può arginare i cataclismi di un lancinante senso di colpa, unica vera sentenza senza appello.
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