Regia di Woody Allen vedi scheda film
Il classico film carino, che però fa trapelare le sue profonde e autentiche inquietudini.
È carino perché all’apparenza ha tutto per essere incantevole: gli stereotipi dell’allegra brigata, apparentemente senza problemi, di gente ricca immersa in una natura che viene fotografata in modo oggettivamente splendido.
Ma le problematiche emergono: il film ha il suo buon valore proprio nella denuncia dell’irrazionalità dei sentimenti, nel senso della loro imprevedibilità, della loro volatilità, del loro cambiamento che non può mai essere scongiurato a priori. Chi ama le storie d’amore a lieto fine non apprezzerà certo questo film: ma è probabile che questo film sia molto più veridico, e quindi più istruttivo, di quelli a lieto fine.
Questo è un atto d’accusa contro il matrimonio, più che altro contro il suo atteso valore salvifico. È un ammonimento per chi spera che basti un gesto, compiuto una volta per tutte, per togliere di mezzo ogni minaccia, ogni rischio che invece tornino ad apparire quei fantasmi che non si vuole più vedere, perché fanno male. I sentimenti non si possono mettere in ordine facilmente: se si crede di ingabbiarli una volta per tutti, li si tradisce, e l’operazione non riesce. Infatti l’insoddisfazione, repressa da una parte, viene a galla da un’altra.
Allen non sembra qui voler bocciare tout court il matrimonio; piuttosto sembra voler ricordare quanto facilmente il matrimonio venga intrapreso in modo sbagliato. Come dire: per affrontarlo in maniera seria ci vuole un equilibrio personale profondissimo, ben conscio della complessità della vita pulsionale, che si esplica a livello erotico ma non solo. Se non c‘è questa profonda preparazione umana, poi la scelta del matrimonio crea grossi dolori; e allora in quel caso è meglio porsene al riparo per tempo. Magari aspettando prospettive più adatte.
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