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La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone

di maso
8 stelle

 

 

Uno dei miei preferiti di Avati ed anche uno dei più insoliti, forse mi piace proprio per la sfrontata eccentricità, è un film in cui coabitano elementi tipici del suo cinema e influenze dallo stile minimalista di Pasolini ma anche una chiara vena surreale del grande Fellini, basta pensare alla culona abbondante che fugge ignuda con il prete in motocicletta e tutti quei primi piani di donne giovani e vecchie ultra truccate.

Un inizio finto documentaristico che sembra aver dato spunto a Vanzina per "Attila", fra improbabili barbari cornuti e mura medievali ci introduce i tre protagonisti della storia con fervida fantasia e grafica vivace delle immagini, le linee temporali si assottigliano, la santa Girolama penitente e violentata trova rifugio e sostentamento per il frutto del suo seno dal fico fiorone nella tenuta Pellacani diventando una icona miracolosa in cima all'albero con il suo bebè in braccio, tanti anni dopo nel periodo fascista il pronipote Anteo Pellacani promettente podista destinato alla carriera olimpica oltraggia l'albero sacro arrampicandosi e il fico fiorone lo punisce spezzandosi un ramo e causando nella conseguente caduta la frattura scomposta della gamba destra del ragazzo che rimarrà storpio per sempre disprezzando l'albero sacro e la sua aura mistica per tutta la vita.

Il presupposto storico religioso e aneddotico fa da apripista al film vero e proprio dominato dalla figura di Anteo adulto, detto Gambina Maledetta per la sua zoppia e interpretato con energica alternanza di umore da un grande Ugo Tognazzi che da vita a un personaggio pecora vestito da lupo, il suo ritorno a Bagnacavallo dopo aver ereditato le proprietà dei Pellacani è finalizzato alla distruzione di quell'albero sacro che gli ha dato l'amarezza in gioventù e lo ha privato di ogni sensibilità e credenza religiosa, in contrasto totale con il microcosmo che è il film stesso disseminato da simboli religiosi, miracoli veri e falsi, devoti e demoni sovrapposti ad una sessualità triviale.

Pellegrini spagnoli vorrebbero avvicinarsi al fico per il centenario del miracolo della santa che ricompare sull’albero ma dopo averli scacciati è proprio Anteo ad avere l’illusione di una visione, il giorno seguente vorrebbe farlo abbattere ma il contadino incaricato (un giovane Lucio Dalla peloso più che mai) fu guarito dal tifo proprio dal contatto con il fico e si rifiuta di tagliarlo suscitando l’ira di Anteo che prova a distruggerlo con una bomba gettata dal cielo ancora senza esito, è a questo punto che la sua storia si intreccia con quella del pappone girovago Biancone vitalizzato da Paolo Villaggio con sottile cattiveria e nessuna ironia, cosa che non si ripeterà più nella sua lunga carriera.

Biancone biondo platino e dall’abbigliamento pacchiano vive con due mogli puttane in una roulotte variopinta, la nera Silvana sembra un diavolo vestita di rosso fuoco mentre la bionda di bianco vestita interpretata da Delia Boccardo ha proprio le sembianze di Girolama: una notte afflitta dai dubbi si rifugia sopra il fico fiorone come attratta da una sensazione di pace, Anteo la vede e ne rimane sconvolto, sembra che il miracolo sia avvenuto di nuovo ma in realtà ha tutto un altro significato perché l’albero sacro per nomea ha messo in relazione un rude e disilluso bigotto con una puttana dalle sembianze di una santa creando la speranza reciproca nei due.

Il messaggio di questa favola grottesca va ricercato proprio nella trinità improbabile che unisce lo spirito santo di un luogo o un oggetto sacro come l’albero reso tale dalle fantasie dell’uomo, al padre peccatore capace di convertirsi al bene e la penitenza verso il figlio del peccato generato da una Eva  tentatrice e puttana bisognosa di innocenza e purezza.

La genesi del film è a sua volta alquanto strana perché Avati in crisi per l’insuccesso di “Thomas e gli indemoniati” non riusciva a far decollare la sua carriera, scrisse questa sceneggiatura con il fratello Antonio pensando il ruolo del barone per Paolo Villaggio che stava riscuotendo un grande successo in TV, ma fu proprio Villaggio a far giungere la sceneggiatura a Tognazzi che si innamorò della storia oltre che del personaggio e contattò un incredulo Avati che in pratica raggiunse il suo primo successo proprio per la significativa partecipazione e prova maiuscola di Tognazzi che era già un attore affermato.

 

 

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