Regia di Jean Rollin vedi scheda film
Rollin, in momentanea fuga dall'hard, realizza con passione questa via di mezzo tra La notte dei morti viventi e Non si deve profanare il sonno dei morti. Un horror lineare, con zombi invece di vampiri, vivacizzato da una bella regia, discreti effetti speciali e un romanticismo di fondo che è cifra distintiva del cineasta francese.
Le amiche Élisabeth (Marie-Georges Pascal) e Brigitte (Evelyne Thomas), nel mese di ottobre decidono di fare una vacanza, raggiungendo il piccolo villaggio di Roubelais dove lavora, in un vigneto, il compagno di Élisabeth. Ormai prossime al traguardo, durante il viaggio -su un treno deserto- Brigitte viene uccisa da un uomo apparentemente afflitto da una malattia della pelle. Élisabeth, utilizzando il freno di soccorso del convoglio, riesce a scendere e fuggire, per poi raggiungere un piccolo centro abitato, sperduto tra le colline, dove incontra Lucie (Mirella Rancelot), una giovane cieca che si è persa. Le due ragazze raggiungono le abitazioni, solo per scoprire che le persone del luogo -afflitte da vistose piaghe sulla pelle- sono diventate aggressive e violente. Quando anche Lucie viene uccisa, Élisabeth cerca soccorso nell'occasionale passaggio di due uomini, apparente normali. La presenza di una donna (Brigitte Lahaie) violenta e sanguinaria, anche se apparentemente immune al contagio si rivela, in parte, chiarificatrice: lo strano morbo è dovuto ad un pesticida utilizzato nei vigneti e gli uomini -in prevalenza bevitori di vino- sono quelli che presentano maggiori piaghe, causate dal devastante effetto della sostanza chimica.
Ispirato da La notte dei morti viventi (1968) ma ancor più da Non si deve profanare il sonno dei morti (1974), Rollin dopo essere sprofondato nel cinema hard (con gli pseudonimi di Michel Gentil e Michel Gand) torna a dirigere un horror (l'ultimo, cronologicamente, era il raffinato Lévres de sang, 1975). Affronta per la prima volta (e nel modo migliore) di sfioro il tema degli zombi (qui sono contaminati rabbiosi più che morti viventi) e lo fa trasportando sullo schermo una sceneggiatura lineare, comprensibile, sviluppata in un racconto che nasce e finisce nel rispetto di unità di tempo (pomeriggio, tramonto, notte, alba) e luogo (il fittizio paesino di Roubelais e le sue confinanti e isolate case abbandonate). Una sceneggiatura, dunque più ortodossa e di maggior effetto. Forse parte del merito va attribuito anche a Jean-Pierre Bouyxou, coautore del soggetto.
Les raisins de la mort comincia benissimo, con una fantastica sequenza girata sul treno deserto e prosegue altrettanto bene, valorizzato da un'ottima fotografia, una colonna sonora non invadente e piuttosto rarefatta, tanto quanto i sintetici dialoghi. Nelle riprese iniziali hanno prevalenza brevi piano sequenza (anche in lontananza, a campo lungo), con la protagonista in fuga su una strada di campagna avvolta dalla nebbia e circondata da terreni aridi e avvizziti. Protagonista che si muove in un silenzio surreale, rotto solo da versi di animali, ovattati da indecifrabili rumori in lontananza. La scenografia alterna isolati e cadenti fabbricati a scene in esterno con vegetazione inaridita, piante secche e colori autunnali.
Rollin dirige con cura, dimostrando di avere ancora talento. Visionario ed eccessivo, mette assieme un paio di scene shock in grado di conferire un taglio estremo al film. Ad esempio ancora oggi impressionante rimane la scena con Lucie crocefissa alla porta e poi brutalmemte decapitata dal suo tutore, infetto dal morbo. Nel rispetto di una poetica puramente ascrivibile a Rollin, ritroviamo l'immagine icona di donna misteriosa e fatale nella silhouette sensuale e affascinante di Brigitte Lahaie. Silhouette che risalta nella notte, mentre si muove -pericolosamente- tra edifici diroccati, al seguito di due mastini.
Rollin concede al nudo un solo, breve, momento quando la Lahaie -per dimostrare di non essere infetta- si espone in un full frontal semplicemente perfetto. Ed è curioso notare come Brigitte, musa ispiratrice e presenza costante negli horror di Rollin, pur essendo attrice di hard presenzia (stando ad imdb) in un solo porno del regista (Vibrations sexuelles, 1977). Nonostante si tratti di un film molto ben studiato, la scarsa accoglienza del pubblico e la limitata distribuzione (Francia, Germania e Giappone) costringe Rollin, per necessità alimentari, a tornare di nuovo su un set porno con Disco sex (1978), adottando l'ulteriore pseudonimo di Robert Xavier. Dai tempi di The demoniacs (1974), il regista è stato costretto ad alternare pellicole per cinema a luci rosse con altre più "tradizionali". infatti anche dopo Les raisins de la mort, gira svogliatamente una manciata di hardcore per tornare nel 1979 a dirigire l'interessante Fascination: un altro insuccesso commerciale, purtroppo e ingiustamente, che lo riporta giù, di nuovo in basso, tra squallidi set e scene di sesso esplicito che -si nota- non gli appartengono. In alcun modo.
"La vita è una grande sorpresa. Non vedo perché la morte non potrebbe esserne una anche più grande." (Vladimir Nabokov)
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