Regia di Jean Rollin vedi scheda film
Rollin, girando nella Grande Mela, perde il senso dell'orientamento e soprattutto la voglia di scrivere. Ne esce un mediometraggio indecifrabile, privo di trama e contenuto e purtroppo noioso. Nonostante la breve durata.
Uno strano amuleto, chiamato Dea della Luna, permette di effettuare viaggi nello spazio e nel tempo. Michelle e Marie, due ragazze entratene in possesso su una spiaggia autunnale, pensano a New York, immaginando di essere maggiorenni e trovarsi in quella sterminata città. Su quella stessa spiaggia, in un momento indefinito, un'anziana signora ricorda con malinconia l'amica scomparsa: è Michelle, ormai anziana. Premendo tra le mani l'amuleto, prega di poter incontrare di nuovo Marie, desiderando essere di nuovo fanciulla e iniziare un altro magico viaggio.
Sul finire degli Anni '80 Rollin scrive e dirige un mediometraggio destinato alla televisione, a dir poco incomprensibile. Le riprese, più che legate a un film, sembrano essere testimonianza di un viaggio turistico a New York. La trama, esilissima, diventa lentamente inseguibile. Anche il montaggio, approssimativo e quasi improvvisato, mette assieme location che non hanno alcun nesso (che c'entra, ad esempio, la sequenza a Cinecittà?). Un paio di temi cari al regista -tipo il legame intimo tra due fanciulle, la spiaggia autunnale battuta dal vento- accostati alla presenza di una misteriosa danzatrice (anche nuda) di colore è quel che resta di un lavoro davvero inclassificabile. Si salva giusto la bella fotografia e il momento -per quanto criptico- iniziale durante il quale vengono citati diversi film (anche dello stesso Rollin) e personaggi letterari di fantasia.
Nota: probabilmente si tratta di un progetto rimasto per buona parte incompiuto, distribuito solo nel 2010 in occasione di una prima visione home video olandese, pochi mesi prima della scomparsa di Rollin.
"New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto la esplorasse, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto." (Paul Auster)
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