Ambientato nell’Upper West Side della New York della metà degli anni cinquanta, il musical racconta la rivalità tra due bande di adolescenti di diversa estrazione etnica: gli Sharks, composta da immigrati portoricani, e i Jets, una gang di ragazzi bianchi. In un clima di odio e intolleranza continui, Tony, un ex membro dei Jets, nonché miglior amico del loro capo Riff, si innamora di Maria, la sorella di Bernardo, il leader degli Sharks. Dunque i Jets bianchi e gli Sharks portoricani, tenuti a battesimo dallo spettacolo di Broadway del ’57 ideato, diretto e coreografato da Robbins, con libretto di Arthur Laurents, musiche di Leonard Bernstein, testi di Stephen Sondheim (recentemente venuto a mancare). E poi l’omonimo leggendario film di Robert Wise, il Musical del 1961 premiato con ben 10 premi Oscar, di cui la pellicola di Spielberg ricalca filologicamente narrazione, coreografie, canzoni, scene e dialoghi, attualizzando il tutto con una messinscena che intensifica le tematiche delle opere precedenti, su tutto il razzismo, la povertà, l’identità comunitaria, le lotte tra classi sociali vittime di ineguaglianze sociali ed economiche che, come nella storia di Romeo e Giulietta, compromettono persino le più romantiche e solide delle storie d’amore.
Spielberg fa la sua immensa dichiarazione d’amore al genere, e non solo: utilizza grandangolari e più campi lunghi rispetto alla versione originale di Robbins e Wise. Durante i balletti per le strade, cambia assi, filma dal basso verso l’alto; e nei movimenti di massa, pieni di comparse, i colori sono più accesi, luminosi e la regia decisamente più dinamica, con carrelli anche molto veloci.
C’è molto, e utilizzato in modo efficace, della filmografia di Spielberg, e questo “West Side Story” è un film sulla memoria, anche della Storia del Cinema. Non a caso riporta nel cast la vincitrice dell’Oscar come attrice non protagonista del film precedente (ma anche di Emmy, Tony e Grammy Awards), Rita Moreno, in un ruolo diverso. Anche quest’ultima ha elogiato, come tanti altri, la nuova visione del regista per come è riuscito ad andare più in profondità nella narrazione e persino nella cultura dei portoricani, differentemente da quella fornita nel 1961, che a suo dire era troppo focalizzata sulle gang e sulla criminalità (c’è un nuovo numero musical, “La Borinqueña”, che è l’inno portoricano scritto successivamente a una delle prime grandi rivolte popolari per l’indipendenza del paese nel 1868).
Il film insomma è nel complesso molto riuscito, appassionato, piacevole, a partire dal suo ritmo dinamico e dalla calibrata cura tecnica e stilistica nell’eleganza di scenografie, fotografia, costumi.
Sa coinvolgere lo spettatore, emozionarlo, offrirgli interessanti spunti di riflessione.
Sono bellissimi e ben funzionali i raffinati numeri musicali, canzoni e dialoghi.
Tutti azzeccati gli attori del cast corale (ci sono molti giovani attori di origine ispanica).
Il “West Side Story” firmato dall’ottima regia di Spielberg è al tempo stesso un melodramma disperato, violento, melanconico e un film sociale, politico che racconta tanto dell’America di oggi sull’immigrazione dell’era Trump e sulle violenze della polizia. Ma è soprattutto pura magia cinematografica di forte impatto sognante e seducente nella perfetta compenetrazione dei suoi aspetti visivi, sonori, ed emozionali.
Un musical che non fa rimpiangere l’originale, ma che piuttosto lo aggiorna, lo arricchisce, lo approfondisce, e in sostanza ce lo ripropone più completo per farcelo arrivare meglio e più dritto al nostro cuore…
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