Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Mi chiedevo perché dover fare le pulci al “nuovo” West Side Story di Steven Spielberg? Forse solo perché non è nuovo. Forse perché i dolly, i controluce, i colori sgargianti, il cast fortemente diversificato tra etnia di immigrazione europea e sudamericana, la fotografia dettagliata e monumentale, l’intrico di gabbie e inferriate, la maniacalità del dettaglio, i panni stesi a raffica, l’incontro tra Tony e Maria al ballo in palestra - decisamente un cinema di altro livello, altra intensità stilistica -; ma siamo fermi a questo, e ci mancherebbe pure, sessant’anni dopo. E a me non sono bastati.
Voleva essere un omaggio? Ok, ma mi aspettavo qualcosa di diverso, di altro, di spielberghiano magari, un Ready Player ..Story, magari, perché no? Invece ho visto un delicato capriccio, di notevole fattura, s’intende, un raffinato copia incolla che pochissimo ha lasciato all’emozione e al brivido, un compitino dall'occhio devoto. Un eccesso di “reverenza” come spesso sottolineato dallo stesso Spielberg che lo ha probabilmente fatto andare in surplace. Manchevolezza mia, sicuramente, che non ho indagato prima della visione, probabilmente mi sarei aggiunto ai mancati incassi. Ma non mi sento affatto in colpa per non aver trovato stimoli sufficienti. Ho amato il rivoluzionario West Side Story, che ha sdoganato innanzitutto il musical al cinema, e lasciato impronte leggendarie con le sue canzoni. E creato passi e invenzioni di danza che anche La la land può solo sognarsi.
Certo Giulietta e Romeo era già scritto.
Ma West Side Story anche.
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